Dieci anni fa nasceva Wikipedia. Per realizzare la maggiore enciclopedia collaborativa della Rete si stima che ci siano volute, finora, circa 100 milioni di ore di lavoro intellettuale. Comunque la si giudichi, Wikipedia è il frutto della convergenza gratuita di competenze, idee, tempo libero e capacità critica di tante persone connesse tra loro nel pianeta. Il senso di «utopia» ha sempre guidato l’evoluzione di questa enciclopedia. L’utopia, ovviamente, ha sempre dovuto fare i conti con un «peccato originale», cioè l’imprecisione e l’errore, alla ricerca di una «redenzione» che il sistema non potrà mai dare a se stesso.
La sollecitazione dovuta all’imporsi della cultura collaborativa è stata forte e, proprio davanti a queste forme di sapere, Justin Baeder, creatore di Radical Congruency, un blog (ormai defunto) legato al fenomeno della cosiddetta emerging ecclesiology («ecclesiologia emergente»), si è chiesto: «Quali implicazioni potrebbero avere per la Chiesa questi siti web? Quali implicazioni potrebbero avere per un approccio comunitario alla teologia?».
Baeder si interrogava circa la possibilità che il wiki possa ispirare un modo di pensare la fede, una sorta di metodo teologico. Da questa domanda nasce l’idea di una open source theology che sia «esplorativa, aperta nelle conclusioni, incompleta, meno preoccupata di stabilire punti fissi e confini che a nutrire un dialogo sollecito e costruttivo tra testo e contesto».
Ed ecco il vero nodo critico: qual è il «codice sorgente» della teologia? È la Rivelazione, che dunque resterebbe «aperta» alle forme più disparate di lettura, applicazione e presentazione. La open source theology è molto «ambigua» perché chiaramente cede al rischio di un appiattimento di ordine sociologico o vagamente umanistico, e a uno smarrimento o al fraintendimento del depositum fidei. Infatti, se il «codice sorgente» della teologia, la Rivelazione, venisse modificato in se stesso, non saremmo più davanti a una teologia cristiana, ma a una più generale discussione su temi di significato teologico-religioso. A questa vaghezza si accompagna il rifiuto di ogni forma di carisma d’autorità e il disinteresse per la tradizione considerata forma «imperiale», come l’ha definita Brian McLaren.
In ogni caso è con questa forma mentis che la fede cattolica dovrà confrontarsi sempre di più e che richiede una nuova forma di «apologetica» che non potrà non partire dalle mutate categorie di comprensione del mondo e di accesso alla conoscenza. D’altra parte il cristianesimo ha sempre assunto nei vari contesti di testimonianza, catechesi,… i caratteri di una «narrazione partecipativa» realizzata dai credenti che vivono nei più disparati contesti culturali.
donMo says:
Interessante. Avendo seguito un po’ le vicende della emerging ecclesiology, tuttavia, personalmente sarei meno “severo” (notasi le virgolette!) di te nei riguardi della teologia open source. Non nel senso che i rischi e i limiti che denunci non esistano, esistono eccome. Ma forse sono più legati al terreno di coltura che al metodo teologico. Voglio dire: è tipico della cultura protestante farsi domande, interrogarsi e confrontarsi, lo è molto di più che per noi cattolici. E’ per questo che l’idea di utilizzare i wiki per fare teologia è nato in quell’ambiente e non in altri. La sfida credo sia quella di fare teologia collaborativa, senza toccare il codice sorgente, in maniera cattolica, ma anche ecumenica. Del resto, si dice che nell’impero bizantino si discutesse di teologia al mercato, perchè oggi non potremmo farlo in un wiki?
don Paolo Benvenuto says:
Cathopedia è un tentativo prettamente cattolico di proporre un’esposizione della fede frutto di un lavoro pubblico, collaborativo e libero (nel senso di libertà e di gratuità).
Non soffre dei caratteri di cui parla Andrew Perriman: orientamento verso un’apertura costitutiva, un’incompletezza costitutiva, ecc.
Al contrario, prende come base il dato biblico, quello patristico e quello magisteriale, riesponendo e rielaborando le fonti cartacee cattoliche e non.
antoniospadaro says:
Sì, certo. Il mio intervento non intende essere “severo”. Vuole riflettere criticamente su un fenomeno che mi interroga. Lo trovo per certi versi molto interessante e stimolanti. Poi però mi nasce l’esigenza di capire meglio. E quindi bisogna intendersi su che cosa significa davvero “open source” e su come possa declinarsi in maniera seria e non come maquillage a una teologia sistematica. Qui non si sta parlando di un fare teologia collaborativa. Questo c’è sempre stato nelle “scuole” di teologia. E non si parla neanche di ecumenismo. Qui la questione in ballo è la natura stessa della Rivelazione cristiana che pensa il fatto che Dio rivela se stesso e non solo dicendo cose, ma facendo cose e persino provando la morte. Questo codice “sorgente” (bella immagine che evoca il movimento di sgorgare…) è “manipolabile”? Ci si possono mettere le mani addosso? E’, in linguaggio heideggeriano (a cui sono però un po’ allegrico) Vorhandenheit? Gli inglesi traducono… «presence-at-hand»… Ce lo abbiamo nelle mani? Questo è il “core” (in inglese ma anche nel senso napoletano) della questione.
Federico says:
Premetto che questo articolo l’ho letto più volte, prima di pensare lontanamente di averlo compreso, ed ancora forse chissà… Provo ad agganciarmi ad un passaggio nel tuo libro Web 2.0. Si parla di Anobii, una piattaforma interessante a cui personalmente dedico due, tre ore a settimana. Tu stesso riconosci il valore del progetto, che trova nella sua natura distribuita e collettiva, il suo principale pregio e difetto. Ciò che si incontra è una varietà di pareri, anche contrastanti sul libro di interesse; il pericolo alle porte (occhio che per alcuni questo non è affatto un pericolo), è di imbattersi in una mancanza di autorevolezza dei giudizi, specialmente se e quando di natura tecnica. Tutto sommato, credo che faccia parte del gioco e che l’utente medio anobiiano ne sia consapevole.
Si può trovare un parallelo con la open source theology? Credo, che dipenda anche e molto dagli obbiettivi che si pongono l’una e l’altra realtà. Anobii in un certo senso è una piazza di confronto di likes and dislikes; ma l’ OST, su quale sentiero cammina? Leggevo dal sito, che hai linkato…
The premise behind Open Source Theology is that the church, emerging from its modernist prison and blinking in the light, is faced with a similar choice: How is it going to rebuild its credibility? What sort of theology does it need to make sense of its existence in this strange, dazzling postmodern world. […] An open source theology is the product of a public conversation between all those who have a serious interest in the subject…
Qui mi sembra che ci sia quasi un desiderio, un bisogno di rimescolare le carte, di rimettere il cuore della questione in mano a tutte le “persone coinvolte”. Questo, nel mio piccolo, mi sembra addirittura diverso da ciò che è successo con Wikipedia.
Ciascun “wiker” ha cercato di contribuire alla costruzione di un grande palazzo con il suo piccolo mattone, qui a mio parere non si tratta solo di portare un pezzo di conoscenza, ma di fornire un pezzo della propria visione. Quindi il rischio che qualcosa venga “manipolato” (e anche sul significato di questa parola se ne potrebbe parlare), secondo me c’è tutto. Ma di nuovo, credo che faccia parte del gioco e chi si avvicina a questa realtà ne dovrebbe essere consapevole.
I rischi legati ad un fraintendimento del sorgente, in quanto “manipolato”? Questo poi è ancora un altro discorso… Aiuto, mi fermo qui :-)
Maeve Louise Heaney says:
Pensieri:
Penso sia vero che il ‘core’ della questione sia la natura stessa della Rivelazione, ma anche la nostra ricezione della stessa, poiché la rivelazione cristiana si da in un incontro personale, pure usualmente mediato. Dio di rivela, si da, e noi percepiamo, accogliamo ( o rifiutiamo), riceviamo, esperimentiamo questa rivelazione. E quindi subentrano temi epistemologici come: “come percepiamo Dio nella nostra realtà e nella nostra persona? Il ruolo della sensibilità e dei sensi? Che tipo di pensiero è teologica, e se uno si può chiedere sulla necessità di pensare più ampiamente il ragionare della fede (faith seeking understanding) o perfino ché sarebbe un pensiero razionale cristiano, anche ci dobbiamo chiedere che tipo di relazione, incontro e condivisione si può sviluppare attraverso la nostra comunicazione ‘virtuale’. E ché significa ‘virtual’?
La apologetica é sempre stata nuova, perché suppone la disponibilità cristiana (tanto antica come attuale) a dialogare con la cultura con cui ed in cui ci troviamo e ci muoviamo… e la cultura della comunicazione ‘cyber’ is here to stay, direi! E allora, magari la prima riflessione sarebbe quella appropriata: ‘Come ci affetta a noi stessi questo modo di riflettere e relazionarsi?’ Come cresce o non cresce il nostro pensare cristiano e perfino la nostra sensibilità sveglia alla presenza di Dio in questo processo di interagire con i ‘open sources’ (non sarebbero plurale?) di una teologia inteso come narrazioni partecipate?
Alessandro says:
Da quel poco che so wikipedia si prefigge finalità divulgative piuttosto che “esplorative” come invece sembra venga proposto dall’open source theology.
La ricerca (intesa come indagine dello scibile, non alla google) avviene attraverso altri canali e con metodi propri, per essa il wiki puó essere un mezzo di confronto ma non uno strumento di lavoro.
antoniospadaro says:
Cari amici,
grazie per questi commenti e per una riflessione che cresce e si allarga e che a mio avviso è urgente. Ciò che scrive Maeve è poi, in fondo, il senso di questo blog. Visto che faith seeking understanding… visto che la fede vuol comprendersi, bisogna stare attenti a come l’uomo d’oggi comprende (in generale). La Rete ha un impatto su questo, cioè sul modo proprio di conoscere dell’uomo oggi. Pensare la fede al tempo della Rete è proprio il compito di una cyberteologia come ho provato a scrivere nel mio articolo sulla Civiltà Cattolica. Qui ho messo giù una piccola riflessione su questo argomento: http://www.cyberteologia.it/2011/01/che-cos%E2%80%99e-la-cyberteologia/
Buona riflessione!