Parto da una esperienza personale di pochi giorni fa. Ho scritto un articolo per una rivista per la quale non avevo mai scritto in precedenza. Il direttore mi ha chiesto come desideravo essere presentato ai lettori. E’ una domanda semplice, ovvia, scontata. Eppure quella domanda ha cominciato a significare per me: di che cosa mi occupo? in che cosa sono specialista? chi sono? Forse giungere a queste domande è un po’ troppo. Eppure il modo nel quale quel direttore mi ha chiesto una informazione semplice, di base, da inserire in mezza riga per me è stato di aiuto a pormi una domanda molto seria che condivido brevemente in questo blog.

L’articolo in questione è di tecnologia. Ho scritto due libri sull’argomento del resto. O meglio: su come le nuove tecnologie hanno un impatto antropologico, diciamo così. Dunque potrei essere un… “filosofo della tecnologia”? Da qui un’altra serie di riflessioni personali che qui riassumo. La mia laurea è proprio in Filosofia, del resto, in “Filosofia Morale”, per essere precisi. Potrebbe andare, dunque. D’altra parte il mio interesse, come dimostra questo blog, è pure teologico. Del resto, il mio dottorato di ricerca è proprio in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana, dopo i canonici 9 anni di studio. Sono un “teologo della tecnologia”? Non saprei proprio. Diciamo che l’attenzione ai due ambiti, quello teologico e quello tecnologico,  mi fa molto riflettere, come dimostrano anche alcuni miei articoli sulla rivista La Civiltà Cattolica dal 1999 a oggi. E poi insegno presso l’Università Gregoriana, dalla quale ho ricevuto il dottorato di ricerca nella facoltà di Teologia. Ma non insegno presso quella facoltà: insegno presso la facoltà di Scienze Sociali nel corso di Scienze della Comunicazioni (Cics), dove per altro ho studiato pure, avendo poi conseguito anche il diploma di specializzazione in Comunicazioni Sociali con una tesi sul Cinema, o meglio sulla lettura del linguaggio teologico di un film (introvabile in Italia).

Ma non insegno nè teologia nè scienze sociali, bensì un corso (prescrittto) intitolato “Introduzione all’esperienza della letteratura” utile ai futuri giornalisti che intendano occuparsi di cultura. La mia tesi di dottorato, del resto, era in Teologia Fondamentale, e si era occupata delle tensioni di salvezza in uno scrittore del secondo Novecento, uno scrittore cosiddetto “postmoderno”. Quindi era una tesi di teologia e letteratura. E di letteratura mi occupo principalmente per la rivista “La Civiltà Cattolica”. Per questo spesso vengo individuato come critico letterario. A questo mondo letterario è dedicata la maggior parte dei miei libri: sia alla teoria della letteratura, sia l’analisi di autori. Ma come ignorare i testi di Bruce Springsteen o Tom Waits  o Nick Drake, oppure il linguaggio cromatico di un Mark Rothko e il senso escatologico di attesa di un  Edward Hopper? Oppure i nuovi linguaggi del cinema di animazione? E dunque ho scritto di tutti loro, ricevendo ora il titolo (usurpato?) di “critico musicale”, “critico d’arte”, “critico cinematografico”…

Che dire, dunque? Chi sono io? Di che cosa mi occupo? Come rispondere a quel direttore? Mi verrebbe di rispondere “Antonio Spadaro, essere umano che si occupa di cose umane e divine”. Aggiungendo magari “per passione”. Ma non basta. No, non basterebbe. Sarebbe corretto, ma sarebbe anche una boutade insufficiente, poco esplicativa. La domanda quindi resta lì intatta.

E così ha generato una riflessione sul fatto che forse solo i poeti e i teologi capiscono davvero la tecnologia, il suo significato.

Io avverto una grande coerenza tra i mondi nei quali mi muovo, forse abitando più le loro connessioni e le loro frontiere che i loro territori. Cioè, mi rendo conto che è la lettura critica della poesia ad avermi condotto ad occuparmi di tecnologie e che solo la teologia è in grado di darmi la giusta curiosità e le giuste categorie per comprenderla. Mi sono reso conto “sulla mia pelle” che noi abitiamo il linguaggio e che la mia casa, sebbene suddivisa in stanze, è la mia casa. Allora è il poeta Gerard Manley Hopkins che mi ha aiutato a capire il ruolo dell’innovazione tecnologica, è il jazz che mi ha fatto capire il ruolo dei network sociali, è la teologia che mi ha illuminato sulle forze che rendono l’uomo attivo nel mondo, partecipando alla Creazione, e che sollevano l’uomo verso una meta che lo supera, ben al di là di ogni surplus cognitivo. E’ la ricerca inesausta di senso che mi ha fatto capire il valore del cavo usb che ho in mano. E so che il mio iPad ha a che fare con il mio inestinguibile desiderio di conoscere il mondo, mentre il mio iPhone mi dice (anche quando è in silenzio) che io sono fatto per non stare da solo.

Ma è la poesia di Whitman che mi dà il gusto del progresso. Ed è Eliot che mi fa attento a non cadere nei suoi tranelli. Ma è anche Flannery O’Connor che mi fa capire che “la grazia vive nello stesso territorio del diavolo” e pian piano lo invade. E dunque capisco che, se anche vedo tanto male in Rete, so che non posso mai fermarmi e riposare sugli allori di un giudizio negativo se voglio vedere Dio all’opera nel mondo. E quando vedo l’elettricità invadere il mio computer facendolo accendere e muovere prodigiosamente è la poesia di Karol Wojtyla che leggeva elettricamente il sacramento della cresima a condurre il mio stupore.

E poi la tecnologia esprime il desiderio dell’uomo di una pienezza che sempre lo supera sia a livello di presenza e relazione sia a livello di conoscenza: il cyberspazio sottolinea la nostra finitudine e richiama una pienezza. Cercarla significa in qualche modo, operare in un campo in cui la spiritualità e la tecnologia si incrociano.

E così ringrazio Marshall McLuhan perché proprio lui, da critico letterario e pensatore cattolico (non essendo dunque “nato” come sociologo dei mass media, come molti purtroppo non sanno) mi ha fatto capire che le cose stanno proprio così. Sono i suoi saggi su Joyce, Eliot, Pound, Auden, Yates, Hopkins, Dos Passos, ma anche su Tommaso d’Aquino e l’umanesimo cattolico che mi dicono che faccio bene a rimanere un essere umano che si occupa di cose umane e divine…

 

  1. Paolo P. says:

    …non dimenticare il suo saggio su Chesterton, al quale McLuhan attribuisce (insieme a san Tommaso) la sua conversione al cattolicesimo! ciao, filotecnopoeta! :-)

  2. Alessandro says:

    Ciao Antonio, cosa è più difficile che autodefinirsi? Come hai ben fatto tu sono il proprio percorso di vita, le proprie passioni umane e culturali, il cursus studiorum, le proprie relazioni e le azioni a “darci una mano”. Per me, essendo tu in primis un uomo di Dio aperto ai segni dei tempi, penso tu stia dando tantissimo per porre le basi di una nuova teologia che aiuti l’uomo contemporaneo a non rifugiarsi nelle meraviglie tecnologiche, ma a “leggerle” e usarle come metafora di una nuova responsabilità antropologica che non può prescindere, oggi forse meno che mai, dal divino e dal mistero, e possa alimentare una fede anche nei territori del nemico che sempre retrocede di fronte all’amore grautito. Buona strada e buona continuazione!

  3. paolo says:

    caro antonio, ti sei addentrato in una impresa difficile: quella di tentare una definizione di te stesso o meglio delle cose di cui ti occupi e che segnano in modo originale ed unico il tuo percorso. Ti concentri sulle cose che hanno catturato il tuo interesse, la passione che ti accendono, la capacità intuitiva e creativa che ti fanno esprimere. E’ bello vedere una sintesi così appassionata tra l’oggetto della tua ricerca (perchè di ricerca si tratta) ed il tuo stato d’animo di ricercatore! Cerchi infatti una tua definizione (cosa ardua da conseguire, soprattutto se non ci si apre – come tu hai fatto – in un percorso di condivisione) non distinta dalla definizione di un’area (ciberteologia?) che definisce piuttosto l’oggetto creativo delle tue ricerche che sta piano piano diventando un risultato che porterà sempre di più anche altri ad investigare. Si, io credo che tu sia un ricercatore nel senso più ricco e pieno di questo termine. I terreni nei quali ti addentri sono terreni apparentemente tra di loro lontani dei quali tu riconosci elementi di collegamento e di continuità che ne svelano caratteristiche sconosciute, fino a scoprirne dimensioni nuove, inesplorate. Buona ricerca Antonio … un abbraccio Paolo

  4. don Fabrzio says:

    grazie.
    Sono un prete e questa lettura mi provoca a pormi la stesa domanda; nell’anno sacerdotale si è scritto molto sull’identità del presbitero, ma questo post contiene la risposta più bella e sintetica che abbia letto.
    Presbitero=”essere umano che si occupa di cose umane e divine, per passione” da Oscar

  5. Maria Letizia Azzilonna says:

    Credo la frase chiave sia ” avverto una grande coerenza tra i mondi nei quali mi muovo, forse abitando più le loro connessioni e le loro frontiere che i loro territori ” ; ma questo abitare le frontiere e le loro connessioni è un atteggiamento profondamente cristiano, del genere della Lettera a Diogneto. Mi è molto molto familiare! L’importante è rimanere operatori di “comunione”.

  6. Analía Josefina Bachanini says:

    Antonio: Tantas preguntas…tantas respuestas! Es evidente que el hombre es expresión viva de su Creador, la prueba está en los multifacéticos universos que se entrelazan al construir la vida de cada uno, dando a cada persona un perfil particular y único.
    Ciertamente, la tecnología es la manera en que el hombre de hoy obedece al mandato del Génesis para hacerse “Rey de la Creación”. En esta empresa están comprometidos sus pensamientos, emociones, afectividad, intelecto…a través de la tecnología podemos descubrir, comunicar, acercar, transformar…todos verbos que nos aproximan al hecho creador. No es extraño que sientas que tanto los poetas como los teólogos están en óptimas condiciones para comprender su esencia! En ellos se manifiesta la “chispa divina” que ilumina y renueva la originalidad y trascendencia del hombre.
    Otros habrá que desde las ciencias y el compromiso social se unan a esta sinfonía con sus propios acordes…¡todo cabe en esta inmensa red que es como un espejo de la vida misma!…

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