Che cosa significa avere un’esistenza virtuale? In che cosa consiste? L’esistenza «virtuale» appare configurarsi con uno statuto ontologico incerto: prescinde dalla presenza fisica, ma offre una forma, a volte anche vivida, di presenza sociale. Essa, certo, non è un semplice prodotto della coscienza, un’immagine della mente, ma non è neanche una res extensa, una realtà oggettiva ordinaria, anche perché esiste solo nell’accadere dell’interazione.

Si apre davanti a noi un mondo «intermediario», ibrido. Le sfere esistenziali coinvolte nella presenza in Rete sono infatti da indagare meglio nel loro intreccio. Sono, in realtà, non due ma tre, come nel caso specifico di Second Life, ad esempio. La «prima vita» è la dimensione della «vita reale» e concreta, cioè non digitale e offline. La «seconda vita» è la vita di un avatar in un contesto di simulazione quale, ad esempio, è Second Life. La «terza vita» è l’insieme di attività di un soggetto che agisce in un contesto di simulazione attraverso un avatar.

Una persona della «vita reale» che agisce in un contesto virtuale è una sorta di cyborg (cybernetic organism, «organismo cibernetico») perché è potenziato attraverso «protesi» analogiche e digitali, costituite dallo stesso avatar e ovviamente dal computer con monitor e tastiera. Il piano esistenziale di cui stiamo parlando prende forma nel momento in cui il soggetto fa interagire due piani di realtà, quella reale e quella digitale. L’avatar, ad esempio, è un’estensione digitale dello stesso soggetto che vive e agisce nella vita reale, non un essere autonomo o una parte staccata di se stessi. Tutta la libertà e la responsabilità dell’uomo della «prima vita» dunque sono anche attributi del suo avatar, che vive nella «seconda vita» perché sono esse a muoverlo.

È la stessa persona che tramite il suo avatar si muove nel mondo simulato. Questo avatar non è «altro» da sé. Al contrario, è sempre la stessa persona che vive in un differente spazio antropologico. Certamente una parte della nostra capacità di vedere e ascoltare è ormai palesemente «dentro» la Rete, per cui la connettività è ormai in fase di definizione come un diritto la cui violazione incide profondamente sulle capacità relazionali e sociali delle persone. La nostra stessa identità viene sempre di più vista come un valore da pensare come disseminata in vari spazi e non semplicemente legata alla nostra presenza fisica, alla nostra realtà biologica.

  1. silvio says:

    in un momento come questo in cui l’AGCOM cerca di estendere il suo potere oltre il limite, la tua riflessione mi fa immaginare l’avatar che viene redarguito anche nel virtuale perdendo così anche quella valvola di sfogo che è il web. Inoltre, il fatto che ti stia rispondendo col cellulare comodamente disteso sul letto, mi fa comprendere quanto mi sia cambiata la vita con questo semplice e tecnologico rettangolino diventato oramai un’estensione del mio essere, strumento di unione tra me ed il mio me elettronico.

  2. Annarita Petrino says:

    Da grande appassionata di tecnologia e fantascienza, ho sempre pensato al cyborg come a qualcosa di “reale”, di “fisico”, quindi non riesco ad associarlo all’Avatar, che secondo me è più un’estensione della coscienza che non del corpo. Mi spiego, la coscienza determina le nostre azioni, messe in atto attraverso il corpo. La stessa coscienza determina le azioni dell’Avatar, che non avendo un corpo fisico si muove attraverso lo strumento tecnologico. L’Avatar è più vicino alla coscienza che non al corpo, a mio avviso.

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