Riporto di seguito il testo della mia presentazione del volume di mons. Domenico Pompili dal titolo Il nuovo nell’antico. Comunicazione e testimonianza nell’era digitale che si è svolta presso il Centro Interdisciplinare di Comunicazione Sociale della Pontificia Università Gregoriana il 16 novembre 2011 all’interno di un pomeriggio di studio dal titolo “Giovani, Chiesa e Comunicazione”.
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In questa mia presentazione vorrei dirvi perché ritengo che Il nuovo nell’antico sia un bel libro e quali siano i nodi principali che pone e affronta.
1. Si vanno moltiplicando i saggi su come la Rete sia un «ambiente» e non uno «strumento»…. nelle parole di mons. Pompili: «i media come cultura e non come mezzi» (p. 20). Quindi aumentano i saggi su come la Rete sta cambiando la nostra vita quotidiana e, in generale, il nostro rapporto con il mondo e le persone che ci stanno accanto. Anche i saggi su come stia cambiando il nostro modo di pensare… Tuttavia, almeno in Italia, non si può certo dire la stessa cosa per le riflessioni specifiche sulla fede e la Chiesa al tempo della Rete. Se La Rete cambia il nostro modo di pensare e di vivere le relazioni, non cambierà (o sta cambiando) anche il modo di pensare la fede e di vivere le relazioni? Ecco dunque perché il volume Il nuovo nell’antico assume una grande importanza. Perché si pone la domanda, articolando un discorso a 3 tappe fluidamente connesse tra di loro e omogenee per estensione:
La prima riconosce e descrive il «nuovo contesto esistenziale» generato dai media e dal conseguente «mutamento antropologico», discutendone il significato per la fede e la vita e l’azione della Chiesa. In quale mondo viviamo? Qual è diventato il nostro mondo? È lo stesso di una volta? Alla domanda “Dove vivi?” cosa risponderemmo? Abitiamo anche un “territorio digitale”… “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi“. Che spessore ha, nell’era digitale, questo “in mezzo”?
La seconda parte si concentra sulla nuova socialità generata dai social networks, soprattutto in ambito giovanile, e nel tempo nel quale ormai la relazione stessa è il vero messaggio della comunicazione.
La terza parte, infine, si concentra sulla dimensione pastorale ed educativa, cogliendo le sfide e presentando le opportunità. La categoria che trionfa è quella della testimonianza.
Ma soprattutto scrive mons. Pompili citando P. Teilhard de Chardin: «niente è profano per chi sa vedere». La formazione è questione di vedere le cose…
2. Questo libro mi piace perché è in grado di aprire scenari e di alimentare il desiderio di non fermarsi ai «prodigi» della tecnica ma di andare a fondo e comprendere come il mondo stia cambiando e quale tipo di atteggiamento richieda oggi una testimonianza del Vangelo.
Tra le tante pagine sulle quali volentieri si sosta a riflettere ne cito almeno una che esprime in sintesi l’atteggiamento di mons. Pompili: le tecnologie sono “nuove” «non soltanto perché differenti rispetto a ciò che precede, ma perché segnano di sé il rapporto dell’uomo con l’altro uomo e con la realtà, cambiando in profondità il concetto stesso di fare esperienza. Non si tratta allora di guardarle con sospetto, ma di evitare l’ingenuità di credere che esse siano così semplicemente a nostra disposizione, senza modificare in nulla il nostro modo di percepire la realtà».
E quindi «internet è uno spazio dell’uomo, uno spazio umano in quanto poolato da uomini. Non più un contesto anonimo e asettico, ma un ambito antropologicamente qualificato» (p. 62).
Dunque questo libro mi piace perché mons. Pompili indica alcune direzioni. Il suo discorso non è mai timoroso, né è un inutile elogio dei tempi che furono. Al contrario è consapevole che il compito della Chiesa è quello di accompagnare l’uomo nel suo cammino, e la Rete fa parte integrante di questo percorso in maniera irreversibile!
E’ proprio il suo «ottimismo» di fondo che gli fa individuare con acutezza le criticità, quali quelle del cosiddetto networked individualism o del digital divide, ad esempio. Ma le sue risposte non sono mai legate alla nostalgia di ciò che sembra perduto, ma al contrario, alla necessità di un impegno per rendere la Rete più umana, luogo di testimonianza e di espressione dell’umanità e della fede.
3. Questo libro mi piace perché l’argomentazione avviene a partire da un punto di osservazione privilegiato. Le cariche istituzionali di mons. Pompili lo hanno esposto negli ultimi anni a incontri, dibattiti e riflessioni pubbliche.
– Questo fa sì che il volume, pur parlando di argomenti complessi, tenga sempre un tono piano, comprensibile, godibile.
– Inoltre nel volume raccoglie gli stimoli di domande raccolte non solamente dalle pagine dei libri, ma soprattutto dalla vita e dai suoi interlocutori. Si può dire dunque che il volume faccia il punto della riflessione della Chiesa italiana sulla Rete e i new media.
Ma mi piace anche perché è un libro «colto» che sa «inquietare» le domande dal basso con le riflessioni più sofisticate e penetranti. E ce ne rendiamo conto con facilità, ad esempio, scorrendo la bibliografia. Si tratta di una bibliografia origianale perché «mista». Troviamo certo sociologi e pastoralisti. Ma soprattutto troviamo filosofi, teologi e geni spirituali difficilmente inquadrabili quali Francois Varillon e Pierre Teilhard de Chardin.
4. Di questo libro mi piace il titolo. Come dico spesso, l’avvento di internet è stato, certo, una rivoluzione. E tuttavia è necessario sfatare un mito: che la Rete sia un’assoluta novità del tempo moderno. Essa è una rivoluzione che potremmo definire «antica», cioè con salde radici nel passato: replica antiche forme di trasmissione del sapere e del vivere comune, ostenta nostalgie, dà forma a desideri e valori antichi quanto l’essere umano. Quando si guarda a internet occorre non solo vedere le prospettive di futuro che offre, ma anche i desideri e le attese che l’uomo ha sempre avuto e alle quali prova a rispondere, e cioè: relazione e conoscenza.
Ma in particolare mons. Pompili a pag. 119 individua uno dei motivi principali per i quali la Chiesa può essere nella Rete…
«La Chiesa può essere nella rete perché è fortemente radicata nei territori; può smaterializzare i suoi interventi perché è profondamente incarnata nelle relazioni di prossimità e condivisione delle situazioni quotidiane, e molto meno di altri soggetti corre i rischio della virtualizzazione. Tuttavia, la sfida è proprio quella di avvicinare i lontani, suscitare e risvegliare la domanda di senso e pienezza, e offrire la disponibilità di un incontro rivolto alla totalità della persona, e non solo al suo sé virtuale».
In questo senso, continua mons. Pompili, «farsi vicino è il movimento che la rete facilita. Farsi prossimo è il movimento possibile solo grazie a quella tensione di comunione che si può realizzare se cerchiamo di trasformare il mondo in “ambiente divino”, l’unico veramente degno di essere abitato dall’uomo». E qui cita Pierre Teilhard de Chardin (p. 120).
E’ in questa tensione positiva tra territorio e Rete che si compie uno degli aspetti della visione cattolica della Rete, che DEVE essere una visione rinnovata dell’ambiente divino, dove non c’è distinzione tra on line e off line. Del resto occorre imparare non a vivere bene la Rete ma a vivere bene al tempo della Rete! E’ questo che il libro di mons. Pompili ci puà aiutare a fare: a vivere bene. Oggi. Al tempo della Rete.
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