Pubblico la traduzione di un articolo scritto dal teologo gesuita Avery Dulles, creato cardinale da Giovanni Paolo II, apparso nell’ottobre 1994 sulla rivista «America».
Essendomi scontrato con i giornalisti della carta stampata varie volte, mi diverte sempre apprendere che anche i vescovi, a volte, cadono nelle trappole. Il gesuita Peter Henrici, prima di divenire vescovo in Svizzera, ha raccontato una storia istruttiva (e spero autentica) su un vescovo europeo arrivato a New York. Alla domanda di un giornalista aggressivo: «Quando viene a New York frequenta i locali notturni?», il vescovo rispose con finta ingenuità: «Ci sono locali notturni a New York?». L’indomani rimase sconvolto nel leggere su un giornale il titolo La prima domanda del vescovo: «Ci sono locali notturni a New York?». Il titolo era veritiero, ma così come tante altre notizie, non comunicava la verità.
La comunicazione della verità non è una questione opzionale per la Chiesa. Dal suo divino fondatore la Chiesa ha ricevuto il mandato di diffondere in tutto il mondo la buona novella, inclusa la verità, che Cristo ha insegnato, su chi era ed è. In ogni epoca, la Chiesa ha fatto uso dei mezzi di comunicazione a disposizione, divulgazione orale, lettere, manoscritti, stampa, messaggi radiofonici e trasmissioni televisive. Parlando di nuovi mezzi di comunicazione sociale di massa, nel 1975, Paolo VI dichiarò: «La Chiesa si sentirebbe in colpa davanti al Signore se non utilizzasse questi potenti strumenti di comunicazione che l’abilità umana sta oggi rendendo sempre più perfetti». Giovanni Paolo II ha spesso richiamato l’attenzione sul potere immenso dei mezzi di comunicazione e sull’importanza di metterli al servizio della verità, della giustizia e del decoro morale. È particolare responsabilità dei fedeli laici, afferma, impedire l’uso di questi per manipolare e disinformare.
La Chiesa non ha utilizzato bene i suoi rapporti con la stampa. Tutti, dall’arcivescovo William H. Keeler a Bill Moyers, lo dicono da alcuni mesi. Alcuni incolpano in particolare i burocrati della Chiesa, definiti incompetenti nell’esporre la storia della Chiesa. Altri incolpano i giornalisti per i loro pregiudizi anticattolici. Nessuno di questi fattori si può negare, ma le cause della difficoltà sono più profonde.
Marshall Mc Luhan ha coniato un aforisma: «Il mezzo è il messaggio». Come molti aforismi, non è del tutto vero perché nessuno mezzo si limita a un singolo messaggio, ma, comunque, richiama l’attenzione sul fatto che esiste una certa affinità fra il mezzo e il messaggio. Ogni mezzo è predisposto a un certo tipo di messaggio e resiste a messaggi di altro tipo. Tenderà a rigirare il messaggio per adattarlo alla propria forza di comunicazione.
Molte delle difficoltà fra la Chiesa e la stampa si possono spiegare prendendo in considerazione la natura del messaggio della Chiesa e il potere di comunicazione del giornalismo. Credo che i due elementi si trovino necessariamente in tensione fra loro. Si possono menzionare sette punti di contrasto.
Quanto al primo, il contenuto del messaggio della Chiesa è il mistero santo della presenza di Dio e dell’attività redentrice in Gesù Cristo. Questo è un mistero di fede, a cui occorre avvicinarsi con un atteggiamento di culto riverenziale. La stampa è per natura indagatoria, e, si potrebbe quasi dire, iconoclasta. Lungi dall’essere riverente, rivela nell’esposizione ciò che è pretenzioso, falso e scandaloso. La Chiesa cattolica, con le sue pretese elevate, è un bersaglio particolarmente attraente.
Secondo, il messaggio essenziale della Chiesa è il Vangelo, unico ed eterno. Convinta della validità permanente della Rivelazione di Dio in Cristo, essa cerca di mantenere la continuità con il proprio passato. Ama la stabilità e rifugge dalle innovazioni. La stampa, invece, vive di novità. Vive di cose effimere e compiace le orecchie avide dei suoi lettori. Nel riportare le notizie di carattere religioso, pone l’accento su ciò che è nuovo e differente, dando così l’impressione che la Chiesa sia sempre in subbuglio.
In terzo luogo, la Chiesa cerca di promuovere l’unità e la riconciliazione, minimizzando la discordia e il dissenso. I mezzi di comunicazione sono specializzati in disaccordi e conflitti che, evidentemente, suscitano un interesse maggiore e aumentano la tiratura. Una storia priva di conflitto viene spesso liquidata come noiosa. Se vale il «nessuna nuova, buona nuova», allora la buona novella non è degna di considerazione. Naturalmente, la stampa tende a dare l’impressione che la Chiesa sia divisa in fazioni e che ogni punto del dogma sia contestato anche al suo interno.
Quarto, la Chiesa cerca di disporre le persone a ricevere la grazia interiore, guardando alla salvezza eterna. Queste benedizioni spirituali, però, non sono abbastanza concrete per una buona edizione. La stampa, quindi, tende a trascurare l’aspetto spirituale della missione della Chiesa e a concentrarsi di più su fenomeni tangibili. I pronunciamenti dottrinali sono di scarso interesse per i mezzi di comunicazione popolari a meno che non incidano sul prezzo usuale della stampa. L’insegnamento della Chiesa viene riportato in modo molto selettivo, così da suscitare l’impressione che il Papa sia interessato soprattutto a sesso, politica e potere.
In una società democratica, ed è il quinto punto, la stampa tende a utilizzare criteri democratici nella valutazione di qualsiasi organizzazione. È molto difficile apprezzare una società gerarchica in cui i capi detengono la propria autorità non per volere del popolo, ma per volontà di Cristo. Qualsiasi sforzo da parte della Chiesa di controllare l’insegnamento dei suoi membri è considerato al pari della censura esercitata dallo Stato sulla stampa. Del resto, il giornalismo ha forti pregiudizi contro la dottrina «autoritaria» dei pontefici e dei vescovi, in particolare laddove tale insegnamento cozzi con l’etica della contemporanea cultura democratica. Il sacerdote disubbidiente e il teologo dissidente sono trattati come campioni di libertà.
Sesto, l’insegnamento della Chiesa su questioni di fede e di pratica morale è spesso complesso e sottile. Essendo il risultato di centinaia di anni di acuta analisi teologica, ha a che fare con punti delicati che non si possono esprimere senza termini tecnici. Le distinzioni precise del dogma e della dottrina morale richiedono un grado di attenzione che non si può pretendere dal lettore medio. I mezzi di comunicazione sono affamati di storie brevi, semplici e impressionanti. Se riportano affermazioni dottrinali, trascurano sfumature e precisazioni che invece potrebbero essere di cruciale importanza.
Settimo, la Chiesa mira a persuadere i suoi ascoltatori della verità della Rivelazione, cercando di suscitare un impegno saldo verso il suo credo. Il giornalismo, invece, vuole riportare fatti che siano accessibili anche ai non credenti e narrare cose che siano accettabili per persone di qualunque religione o di nessuna. La stampa laica non può presupporre o asserire la verità della Rivelazione, in particolare perché essa viene interpretata in ogni comunità di fede. Per queste e per altre ragioni, esiste una tensione costante e innata fra la Chiesa e i mezzi di comunicazione.
La Chiesa non può contare in primo luogo sul giornalismo laico per comunicare il proprio messaggio ai suoi fedeli. La formazione dei cattolici, di regola, avviene in un contesto di fede e di culto. La cornice ideale di tale formazione è la liturgia, dove il celebrante può predicare la Parola di Dio. Inoltre, l’educazione religiosa si può impartire nella famiglia, nell’istruzione catechetica e nelle scuole cattoliche. Le notizie di carattere religioso — incluse quelle relative alla dottrina ufficiale — sono trasmesse in modo molto più opportuno in un ambiente ecclesiale piuttosto che sulla stampa laica.
Esiste naturalmente un posto per il giornalismo di orientamento religioso che cerca di destabilizzare i pregiudizi naturali dei mezzi di comunicazione sui quali ho richiamato l’attenzione. La stampa cristiana dovrebbe fare lo sforzo consapevole di presentare la Chiesa nel modo in cui essa intende se stessa con enfasi derivante dalla fede. Il segmento della stampa che si occupa della Chiesa — pur cercando di raggiungere un pubblico più ampio — si guarderà dalla tentazione di indulgere nell’inconoclastia e di sfruttare l’appetito popolare per il sensazionalistico e lo scandalistico. Pur non essendo desiderabile la censura da parte delle autorità ecclesiali, potrebbe essere auspicabile una misura di auto-censura da parte di editori e giornalisti.
Senza pregiudizio per la stampa religiosa, bisogna riconoscere che la Chiesa ha il dovere di comunicare non solo con i propri membri, ma anche con il pubblico generale. I mezzi di comunicazione popolari hanno un interesse legittimo nelle notizie religiose. Non sarebbe né desiderabile né possibile tenere la Chiesa cattolica fuori dalla stampa laica.
Se così fosse, andrebbero compiuti sforzi maggiori da entrambe le parti per superare le barriere fra la Chiesa e i mezzi di comunicazione sociale. La Chiesa ha apportato grandi miglioramenti negli ultimi decenni, ma c’è ancora molta strada da fare. Pare sia generale il consenso sul fatto che la Chiesa potrebbe far di meglio per diffondere le sue opinioni su questioni controverse quali matrimonio e divorzio, contraccezione, omosessualità, aborto od ordinazione femminile. I pronunciamenti dottrinali vengono spesso espressi con termini tecnici, e sono pubblicati con un tono autoritario che sconcerta le persone abituate a dibattere e ad argomentare. Ritengo che le posizioni ufficiali della Chiesa cattolica siano in sintonia con la ragione e che promuovano la dignità umana. Ma troppo spesso vengono presentate come arbitrarie e disumanizzanti.
Ne è esempio la dichiarazione su alcune questioni relative all’etica sessuale, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 29 dicembre 1975. Il modo in cui questo documento affronta l’omosessualità ha fatto infuriare molte comunità omosessuali. Subito dopo, l’11 febbraio 1976, il vescovo Francis Mugavero di Brooklyn pubblicò una lettera pastorale, Il Dono della Sessualità, commentando in modo molto sensibile la dichiarazione. Se soltanto quel commento fosse apparso in allegato alla dichiarazione stessa, avrebbe fatto molto per placare la rabbia.
In anni recenti, per fortuna è divenuto usuale far accompagnare documenti delicati da comunicati stampa esplicativi, presentandoli in conferenze stampa. I vescovi ricevono copie in anticipo in modo da non essere presi alla sprovvista. La pubblicazione dell’enciclica Veritatis splendor, lo scorso autunno, è un modello eccellente da seguire.
Non paga di tener lontani resoconti negativi, la Chiesa potrebbe sfruttare a proprio vantaggio occasioni per mostrarsi sotto una luce favorevole. Ne è esempio la visita del Papa a Denver per la Giornata mondiale della gioventù lo scorso anno. Sebbene i mezzi di comunicazione sociali abbiano mostrato la tendenza a concentrarsi su questioni divisive, che erano marginali rispetto all’evento, la copertura mediatica è stata, in generale, favorevole e in modo meritato. Il Papa stesso, i vescovi e i giovani hanno offerto una testimonianza eccellente di se stessi e della loro fede.
La Chiesa cattolica può trarre vantaggio dal grande interesse che inevitabilmente suscita nella stampa. A motivo dei suoi rituali, della sua lunga storia, della sua diffusione in tutto il mondo e del suo inserimento nelle culture di molte terre, la Chiesa è un oggetto affascinante anche per molti che non ne condividono la fede. Bisognerebbe sforzarsi di porre la dovuta enfasi sugli aspetti belli, edificanti e spiritualmente ispiratori della Chiesa. Il restauro recente degli affreschi della Cappella Sistina e il recente completamento del Catechismo della Chiesa Cattolica offrono opportunità splendide alla Chiesa per mostrare il suo lato migliore.
Forse si potrebbe fare di più per mostrare la Chiesa come una forza, per tutto il mondo, di pace, amore e comprensione internazionale in un momento in cui tutte le nazioni vengono dissolte da forze di odio e di divisione.
Dalla posizione dei nuovi mezzi di comunicazione sociale, bisognerebbe fare sforzi consapevoli per contenere le tendenze su cui ho richiamato l’attenzione. A volte può essere necessario resistere alla tentazione di incentivare le vendite diffondendo pettegolezzi infondati o pubblicando resoconti deformati.
Riconosco l’interesse legittimo della stampa a riportare buone e cattive notizie sulla Chiesa, ma bisognerebbe adoperare maggiore cura nell’inserire le notizie cattive nel giusto contesto, e porre maggiore enfasi sugli elementi che il giornalismo è invece incline a trascurare. Come hanno sottolineato molti critici, per la maggior parte, i giornali e le riviste non hanno giornalisti professionalmente qualificati in ambito religioso. Questa ignoranza non sarebbe tollerata in altre aree quali la politica, lo sport e l’economia.
Anche se bisognerebbe compiere degli sforzi per migliorare la trattazione delle notizie di carattere religioso, non possiamo sperare in un successo completo. Cristo — si dice spesso — era un comunicatore perfetto. In lui, come in nessun altro, il mezzo e il messaggio coincidevano. Letteralmente egli era il Vangelo che proclamava. Lo comunicava senza paure e compromessi con le parole e con le azioni. Tuttavia, incontrava ostilità e incomprensione. Diceva con chiarezza ai discepoli di aspettarsi una simile accoglienza: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Giovanni 15, 20).
Poiché il Vangelo è estraneo al mondo che ci circonda, sarà sempre, per alcuni versi, un segno di contraddizione. La stampa laica, poiché appartiene a questo mondo e si rivolge a un pubblico terreno, non sarà mai l’organo ideale di trasmissione del messaggio cristiano. Pur confidando su altri mezzi di comunicazione sociale, la Chiesa deve relazionarsi con la stampa nel miglior modo possibile, con la piena consapevolezza che tensioni e opposizioni persisteranno fino alla fine della storia umana.