Una conferenza magistrale per giornalisti e studenti a maggioranza non cattolica presso l’Istituto di Giornalismo dell’Università Statale T. Shevchenko di Kiev (21 maggio 2012)
INTRODUZIONE: Comprendere il senso di un’espressione: comunicare i valori oggi
I. Comunicare nell’epoca dei media digitali: spazio, tempo e relazione
1. I media digitali: un quadro socio-tecnico
2. Media, spazio pubblico e fuga dal privato
3. Una nuova etica del rapporto con il tempo
4. Dalla “vita sullo schermo” all’integrazione di comunicazione reale e virtuale
II.“Comunicare i valori oggi”: famiglia, comunicazione e sfida educativa
1. Comunicazione e famiglia umana
2. Comunicazione e sfida educativa
III.“Comunicare i valori oggi”: dall’agorà al cyberspazio, cercare la Verità per condividerla
1. Punto di riferimento: la verità in conflitto tra saperi e tradizione
2. Comunicare al servizio del bene comune: identità, verità e responsabilità
3. La questione antropologica: centralità e dignità inviolabile dell’uomo
CONCLUSIONE
INTRODUZIONE
“Comunicare i valori oggi” potrebbe essere uno “slogan” pubblicitario, perché attualmente molte aziende considerano la comunicazione come il fattore indispensabile per il successo e affermano che il valore aggiunto è proprio quello comunicativo; pertanto, con l’aiuto di diversi specialisti, sviluppano idee, realizzano progetti e definiscono strategie con obiettivi ben precisi. I mercati diventano ambiti di conversazione, per proporre valori irrinunciabili, passioni, sogni, idee lungimiranti. Pertanto, il mercato, il consumo e la moda, con la loro creatività comunicativa, competono con il sistema tradizionale di trasmissione della cultura[1] e dei valori sociali, che tramandava il patrimonio culturale da una generazione all’altra.
Comprendere il senso di un’espressione: comunicare i valori oggi
“Comunicare significa creare negli altri un’esperienza, coinvolgersi fin nelle viscere, e questo è un’abilità emotiva” Daniel Goleman.
Definiamo la parola “comunicare”: dire, esprimere, informare, mettere in comune, rendere comune, cioè condividere per avere in comune.
Questo richiama alla mente la regola delle 5 W insieme all’H della comunicazione tradizionale.
Who? Chi?
Where? Dove?
When? Quando?
What? Cosa?
Why? Perchè?
Tale regola proviene dal giornalismo anglosassone ed è oggi l’abc di qualsiasi corso di scrittura creativa che miri a dare una forma accettabile al tessuto narrativo. L’H rappresenta l’interrogativo How? Come? e indica l’importanza della forma, dell’espressione e dello stile per dare vita a qualsiasi comunicazione.
Definiamo la parola “valore”: qualità, virtù, merito, abilità, dote, talento, competenza, capacità.
Si è tentato di fare una classificazione dei valori, secondo le diverse categorie:
• nella relazione con l’altro: apertura, generosità, divisione, ascolto, amicizia…
• nel perfezionamento personale: felicità, fiducia in sé, autonomia, libertà, equilibrio…
• in campo morale: dignità, giustizia, fede, rigore, fedeltà…
• nell’ambito civico: rispetto, onestà, tolleranza, solidarietà, onestà…
• nel contesto familiare: amore, fiducia, istruzione…
• in merito al successo sociale: lavoro, coraggio, ambizione, combattività…
Tuttavia, questa classificazione non sembra soddisfacente, poiché alcuni valori sono qualità, caratteristiche caratteriali o finalità da perseguire, come ad esempio il successo e la felicità. Più che valori sono, infatti, obiettivi da raggiungere pertanto, affermando che qualcuno è ambizioso o ha fiducia in se stesso, si descrive il suo carattere, non i valori in cui crede.
Spesso i valori si limitano a quelli puramente morali e la loro acquisizione inizia sempre con l’educazione, l’istruzione che tradizionalmente avviene in famiglia. Oggi, questo non dipende solo dai genitori, ma si realizza attraverso almeno tre “canali” diversi, tra loro collegati: genitori, scuola ambiente sociale; si aggiunge poi la religione, per definizione portatrice di valori culturali, che però, al contrario dei tre canali precedenti, non fa riferimento all’insieme degli individui di una società o di un paese.
L’insieme dei valori, soprattutto etici e sociali, abbraccia l’intero agire umano e fa riferimento alla cultura di una società, secondo parametri spazio-temporali, come costante antropologica che non si riduce a una variabile culturale. Sparta, ad esempio, metteva il coraggio sopra la giustizia contrariamente ad Atene. Le norme morali, che riflettono i valori fondamentali propri di un gruppo, hanno di solito un’origine religiosa, ma non inevitabilmente: il rispetto degli altri esiste anche nella morale atea e l’omicidio è generalmente vietato. Gli studi antropologici e sociologici sottolineano la concatenazione tra cultura, religione e conoscenze (tradizione e saperi) e evidenziano come il rito rientra nell’insieme di pratiche e conoscenze che plasmano i modelli culturali di una società e svolgono una funzione di trasmissione dei valori, norme, istituzionalizzazione dei ruoli, riconoscimento dell’identità e coesione sociale.
Ormai, il mercato si è impadronito delle parole “cultura” e “valori” attraverso la pubblicità, sfruttando addirittura i simboli religiosi per vendere meglio: la comunicazione pubblicitaria vende sogni e speranze, non solo prodotti e servizi. Cosi la pubblicità vende valori, porta idee e modelli, influenza consumi, mode e comportamenti, diventando un agente sociale singolare, un fattore chiave dentro le società, con ripercussioni anche nell’ambito educativo, morale e sociologico, arrivando a riplasmare il “sentimento comune”, oltre le parole e i canali tradizionali. Il nuovo marketing diventa così relazionale, estetico, tribale, esperienziale e s’impadronisce di ogni dimensione comunicativa dell’essere umano.
Il nostro ambiente è segnato dall’avvento del digitale e dalla crescente offerta multimediale, un nuovo modo di comunicare e relazionarsi che plasma tutto. I nostri parametri spazio temporali mutano continuamente, in base al costante aggiornamento delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, modificando il modo di confrontarci con gli altri, con il mondo, modificando i valori. Secondo alcuni ricercatori, la nostra “presenza al mondo”, la “persona umana”, si costruisce con i due pilastri dell’Identità e dell’Appartenenza, secondo i tre parametri dell’Avere, dell’Essere e dell’Appartenere, attraverso le tre dimensioni di Spazio, Tempo e Relazioni
I. Comunicare nell’epoca dei media digitali: spazio, tempo e relazione
Viviamo in un tempo in cui tutto è 2.0. Siamo passati da una cultura 1.0, in cui il momento “autoriale” e quello dell’utilizzo erano ancora separati, a una cultura 2.0 i cui caratteri distintivi sono tre:
– chiunque può produrre, attraverso i media, i propri contenuti (User Generated Content);
– la logica principale è la condivisione, la messa in comune delle risorse; Himanen (2001) parla di etica hacker, secondo cui più intelligenze possono produrre risultati straordinari;
– la logica che organizza e cataloga la conoscenza è di tipo emergente: ciascun utente è responsabile dei contenuti condivisi e decide insieme agli altri quali conoscenze meritino di essere accettate o scartate (folksonomia).
1. I media digitali: un quadro socio-tecnico
Quando si parla di media digitali, si fa riferimento soprattutto alla convergenza digitale di cui tutti i media nell’ultimo ventennio hanno risentito: ad esempio, dopo la convergenza digitale, i cellulari sono diventati potentissime stazioni multimediali. Molto più che un telefono!
L’intermedialità è la possibilità di “fare molte cose” e ha tre caratteristiche:
– La portabilità; siamo testimoni di un processo di miniaturizzazione dei dispositivi e di aumento della potenza dei processori (strumenti sempre più piccoli, ma molto più potenti).
– La connettività; questi strumenti sono utili poiché collegati con la rete, dove sono i nostri documenti. Questa linea di tendenza dello sviluppo tecnologico ha sganciato gli strumenti dalle postazioni fisse per consentire un costante accesso alla rete.
– Infine, tutta la generazione delle nuove Internet application presenta la caratteristica di essere autor(i)ale, con la possibilità di produrre contenuti senza ricorrere alla mediazione di altri apparati.
Da una parte questo è sinonimo di liberalizzazione dell’accesso e pluralismo, dall’altra consente a molti non professionisti di prendere la parola nello spazio pubblico, senza avere spesso le competenze, soprattutto sul piano deontologico.
Queste trasformazioni tecnologiche ci suggeriscono qualche considerazione. Da un lato, un cambio di paradigma nella concettualizzazione dei media, pensati come mezzi negli anni ’60 (McLuhan, 1967) e poi come ambienti (Meyrowitz, 1993) negli anni ’80. L’avvento dei media digitali e sociali offre lo spunto per un cambio di prospettiva e i media oggi sono un tessuto connettivo (Siemens, 2004), il sistema nervoso della nostra cultura attraverso il quale comunichiamo, produciamo contenuti culturali, costruiamo ed esprimiamo le nostre identità; e trasmettiamo valori.
2. Media, spazio pubblico e fuga dal privato
La nuova maniera di partecipare nella rete stravolge il modo di fare esperienza dello spazio, dove il cambio più drastico e significativo è quello dello “spazio pubblico”, in relazione a ciò che invece riteniamo spazio privato.
La possibilità di avere accesso a uno spazio di discussione – nella riflessione della filosofia politica di Annnah Arendt e Habermas – ha risvolti per la scienza e la politica:
– da un lato, affidando allo spazio pubblico le proprie convinzioni, si fa ricorso a un dispositivo di controllo che è funzionale alla loro certificazione;
– d’altro lato, lo spazio pubblico è quello democratico entro cui dovrebbe essere garantito a chiunque di esprimere il proprio punto di vista.
Quindi, la diffusione sociale della comunicazione mediata in Internet modifica in profondità il concetto e la percezione dello spazio pubblico:
– da una parte, lo spazio dell’accesso si dilata indefinitamente, assecondando gli entusiasmi di chi saluta con questo una nuova cittadinanza superiore a quella degli Stati tradizionali (de Kerchove & Tursi, 2006),
– d’altra parte, si apre la possibilità per chiunque di fare opinione, “di essere qualcuno nel Web”, in una logica di rovesciamento rispetto allo stato normale delle cose che finisce per produrre una contrapposizione tra chi diventa “riferimento” nella rete e chi appartiene al sistema editoriale tradizionale (Granieri, 2005).
Ma, avere un maggiore accesso non implica un aumento della partecipazione; sono le risonanze che si producono a essere particolarmente interessanti. Sembra che le nuove generazioni fuggano dal privato e nelle pagine dei social networks tutto è destinato a essere pubblico e costituire un insieme di occasioni per la costruzione del proprio io (Caron, Caronia, 2006). Il privato diventa pubblico e viceversa, con ipotesi d’interpretazione interessanti dal punto di vista educativo (Tapscott & Williams, 2006; Boyd, 2007).
Gli spazi dei social networks sono veri e propri ambienti di socializzazione; “gli adolescenti vi entrano per rimanere in contatto con i loro amici” (Boyd, 2007; 10). Il problema è che nel social network non ci sono solo gli amici ed è difficile condividere i propri contenuti unicamente con alcuni e non con tutti, perché il confine tra pubblico e privato è estremamente sottile.
3. Una nuova etica del rapporto con il tempo
Il passaggio dallo spazio al tempo è suggerito da Heschel ne Il sabato (2001; 7): “La civiltà tecnica è la conquista dello spazio da parte dell’uomo”. È un trionfo al quale spesso si perviene sacrificando un elemento essenziale dell’esistenza, cioè il tempo. Nella civiltà tecnica, noi consumiamo il tempo per guadagnare lo spazio. Accrescere il nostro potere sullo spazio è il nostro principale obiettivo. (…) Il pericolo comincia quando acquistando potere sullo spazio, rinunciamo a tutte le aspirazioni nell’ambito del tempo. Esiste un regno del tempo in cui la meta non è l’avere ma l’essere, non l’essere in credito ma il dare, non il controllare ma il condividere, non il sottomettere ma l’essere in armonia. La vita è indirizzata male quando il controllo dello spazio e la conquista delle cose dello spazio diventano la nostra unica preoccupazione”. Il concetto è semplice: per esercitare il controllo sullo spazio abbiamo rinunciato al controllo sul tempo.
Il presunto risparmio di tempo costituisce però una posta alta da pagare. Negli USA un pool di aziende ha stabilito, grazie a una ricerca, che il tempo necessario ogni giorno a un lavoratore per seguire la sua posta elettronica è di circa due ore.
Riposo
I media digitali hanno la capacità di entrare nelle pratiche quotidiane delle persone. Questo dipende dal fatto che portabilità e connessione li rendono capaci di colonizzare i nostri non-tempi. Un non-tempo, per analogia con il non-luogo (Augé, 1993), è un tempo finalizzato a nulla di specifico. In questo senso sono non-tempi il trasferimento, il viaggio, l’attesa alla fermata dell’autobus, l’inattività domestica dopo pranzo o prima di cena. Tempi che tradizionalmente si potevano occupare leggendo o conversando con le persone (o semplicemente stando in silenzio con se stessi) ma che oggi, grazie alla presenza diffusa dei media, si spendono inviando sms, telefonando, cercando compulsivamente qualcosa da fare in Internet, videogiocando. La controindicazione è triplice:
– dal punto di vista neurologico, si configura una situazione d’iperstimolazione che può produrre sovraccarico cognitivo (Carr, 2010);
– dal punto di vista della personalità e del suo equilibrio, si possono creare condizioni per diverse forme di dipendenza (Tonioni, 2011);
– dal punto di vista antropologico, si accetta che anche il tempo festivo sia invaso dalla “rumorosità” dell’agire.
Lentezza
Nel nostro tempo si sono contrapposti e polarizzati due modelli culturali: lo slow e il fast; tutto ciò che è tradizionale, è lento, mentre la velocità è prerogativa del progresso e del nuovo. Le ragioni si sono spesso trovate nel cambiamento che l’attenzione delle persone subirebbe in virtù del quotidiano rapporto con le tecnologie. In particolare, si sottolinea la capacità di fare molte cose contemporaneamente, multitasking. Un esempio sono i videogiochi e oggi le grandi aziende hanno continuo bisogno di soggetti capaci di multitasking. Il problema è che la rapidità esecutiva toglie inevitabilmente il tempo necessario alla possibilità dell’approfondimento.
Ripetizione
Altro elemento della virtualizzazione è contrapporre drasticamente il modello tradizionale dell’apprendimento, quello “mnemonico”, basato sulla ripetizione del dato o del concetto da apprendere, a quello “tecnologico”, la cui caratteristica va cercata nel carattere esperienziale (learning by doing) e nel coinvolgimento a livello di attivazione della curiosità e della motivazione che esso comporta rispetto al soggetto che apprende.
La memoria a breve termine si basa sul rinforzo della relazioni sinaptiche tra neuroni, rinforzate dalla ripetizione dello stimolo che produce come risposta l’attivazione di quella determinata relazione. Come il premio nobel Eric Kandel, possiamo dire che “la pratica porta alla perfezione” (Kandel, 2010, 214); non tutto è acquisizione istantanea che si ottiene, divertendosi, poiché l’apprendimento richiede applicazione, fatica, pazienza.
4. Dalla “vita sullo schermo” all’integrazione di comunicazione reale e virtuale
Nella CMC (Comunicazione Mediata del Computer) la ristrettezza della banda di trasmissione privilegia la comunicazione in forma scritta, con conseguenze nella costruzione e gestione dell’identità. Presentarsi agli altri attraverso un testo scritto libera gli interlocutori dal peso delle variabili sociali, ingombranti nella comunicazione di persona, con il risultato di rendere la comunicazione più diretta e disinibita; questo non toglie il rischio di costruire un’identità alle volte idealizzata che non corrisponde alla realtà.
Di questo scenario risente tutta la prima generazione di studi, d’impostazione psicologica e clinica, che dalla prima metà degli anni Novanta si occupano della CMC, vista come un’opportunità o un problema, e messa in relazione con un ambiente culturale ancora segnato dal paradigma della post-modernità (Rivoltella, 2003).
Sherry Turkle (1995), psicologa del MIT di Boston, osserva che, prima dell’avvento di Internet, immaginarsi un io multiplo sembrava una raffinata astrazione filosofica; in realtà, per chi naviga e frequenta ambienti di CMC, costituisce un’esperienza quotidiana e può essere letto in maniera clinica (frantumazione dell’io) o come emancipazione della possibilità del soggetto di esprimersi rispetto i vincoli dell’hic et nunc (una fase ulteriore dell’umanità).
Sebbene il tema sull’identità preceda l’avvento Internet, buona parte della ricerca lo ritiene un nuovo spazio di costruzione dell’identità, anche se altri autori notano che la maggior parte degli utenti della Rete tende a costruire un’identità online non molto diversa dalla loro identità offline (Baym, 1988).
Si supera così la contrapposizione tra virtuale e reale, dove il reale era l’offline e il virtuale tutto ciò che passava nello spazio di Internet; è stato il teorico Levy (1995) ad affermare che tecnicamente il contrario di virtuale non è reale ma attuale: quando qualcosa è in potenza, potrebbe attualizzarsi, ma ancora non è in atto. Tuttavia, ciò non toglie nulla alla sua realtà, ad esempio attraverso un sito web passano i nostri discorsi e troviamo informazioni utili alle nostre occupazioni quotidiane.
In seguito, questa riconfigurazione teorica è stata consolidata con la web 2.0, le applicazioni informatiche per compiti real life e la diffusione degli smartphone multifunzione. Il dato comune a tutte queste forme è l’assottigliarsi, fino a scomparire, del confine tra reale e virtuale, tra “mondo della Rete” e “mondo della vita”, arrivando a una “virtualità reale” o, meglio, a una realtà aumentata, prolungata oltre i limiti di spazio e tempo.
L’impatto più rilevante del Web 2.0 sul piano sociale è stato la nascita d’innumerevoli social networks su vari temi d’interesse all’interno del servizio. Sulle reti sociali non s’incontrano amici virtuali, ma si mantengono contatti con persone che in certo modo si conoscono; così questa nuova maniera di fare “net” è una continuità che amplifica le possibilità di comunicazione dei soggetti. È stata però la diffusione del telefono mobile a incidere di più sulla ridefinizione del rapporto tra reale e virtuale; il cellulare, infatti, non è più concepito come uno strumento, ma come una vera e propria protesi del nostro corpo.
II. “Comunicare i valori oggi”: famiglia, comunicazione e sfida educativa
Fin dall’infanzia, tradizionalmente, l’identità della persona si realizza attraverso la comunicazione; così creiamo le basi per interagire con gli altri “significativi” (genitori, familiari, adulti, per noi importanti, amici). Che sia nel parlare o nell’ascoltare, da Gutenberg a Zuckelberg, ogni comunicazione ha una dimensione morale di fronte ai valori. È più difficile comunicare valori in un mondo nel quale l’avvento del digitale e la crescente offerta multimediale sembra mettere tutto in discussione: lo scopo sarebbe cercare e comunicare tempestivamente chiavi di lettura e di interpretazione di una realtà fuggente. Gli aspetti sociali e cognitivi delle realtà elettroniche costituiscono nuove vie e modalità per accedere alla conoscenza, socializzare, divertirsi, lavorare, creare. Nuove identità e nuovi ruoli si sviluppano all’interno delle esperienze virtuali e condizionano tutti, soprattutto i soggetti più esposti alla complessità e al forte impatto delle trasformazioni in corso, come bambini e adolescenti.
Comunicazione e famiglia umana
La responsabilità iniziale spetta ai genitori. La famiglia deve affrontare la sfida della comunicazione in un contesto di apprendimento reciproco. Molto dipende anche dal modo in cui genitori e famiglia sono trattati dai media; essa, infatti, è messa in discussione come valore quando, invece di mostrare la sua importanza insostituibile come fondamento di ogni cultura e società per il bene dell’umanità, viene presentata secondo modelli distorti.
I media hanno il potere di rafforzare o calpestare i valori tradizionali come religione, cultura e famiglia, presentando la loro visione della vita, del matrimonio, della religione e della moralità. “Ogni tendenza a produrre programmi – compresi film d’animazione e video games – che in nome del divertimento esaltano la violenza, riflettono comportamenti anti-sociali o volgarizzano la sessualità umana, è perversione, ancor di più quando questi programmi sono rivolti a bambini e adolescenti. Come spiegare questo “divertimento” agli innumerevoli giovani innocenti che sono nella realtà vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’abuso?” (Papa Benedetto XVI, 41° Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2007).
Troppo spesso la libertà è presentata come un’instancabile ricerca del piacere o di nuove esperienze, piuttosto che la capacità di promuovere le virtù (amore, fedeltà, perdono, dono generoso di sé agli altri). La parola “virtù” sembra fuori moda in una cultura protagorea che considera i “vizi” piuttosto come fonti di piacere. La comunicazione, in ogni sua forma, deve sempre ispirarsi al criterio etico del rispetto della verità e della dignità della persona umana, chiamando in gioco la responsabilità di coloro che operano nei media, ma anche delle autorità pubbliche e dei genitori.
I genitori, primi e più importanti educatori, sono chiamati a formare i figli «nell’uso moderato, critico, vigile e prudente dei media» (Familiaris consortio, n. 76). “Spetta a genitori e docenti il compito di stimolare comportamenti coerenti con la costruzione di una personalità che abbia capacità di una visione critica del contesto”. Oltre a regolare[2] l’uso dei media ai figli, possono insegnare a non accettare o imitare in modo acritico ciò che in essi riscontrano, sopratutto attraverso la pubblicità, il cinema, i videogiochi. Questo è essenziale per lo sviluppo culturale, morale, spirituale e l’emergenza educativa diventa “sfida comunicativa”. L’incidenza dei media e della tecnologia è talmente forte e pervasiva che incide profondamente sui processi educativi vitali, a partire da quello familiare, passando per quello scolastico, senza risparmiare il semplice dialogo umano, interpersonale o sociale.
Comunicazione e sfida educativa
Senza dubbio, i media sono “opportunità pressoché illimitate d’informazione, di educazione, di arricchimento culturale e perfino di crescita spirituale”. L’influenza formativa dei media è in competizione con quella della scuola, della Chiesa e, forse, addirittura con quella della famiglia. “Per molte persone, la realtà corrisponde a ciò che i media definiscono come tale” (Aetatis Novae, 4). Dai semplici link ipertestuali a Wikipedia, passando per Google, Twitter e YouTube, le innovazioni tecnologiche dell’ultimo decennio hanno determinato un cambiamento della pedagogia superiore a quello registrato nei mille anni precedenti[3].
Responsabili e imprenditori dei media possono essere autentici «custodi e amministratori di un immenso potere spirituale che appartiene al patrimonio dell’umanità ed è inteso ad arricchire l’intera comunità umana»[4]. Affinché le famiglie trovino “una fonte di sostegno, di incoraggiamento e di ispirazione, mentre cercano di vivere come comunità di vita e di amore, di educare i giovani nei solidi valori morali e di promuovere una cultura della solidarietà, della libertà e della pace!” [5].
Ponendo i bambini di fronte a quello che è esteticamente e moralmente eccellente, essi sono aiutati a sviluppare la propria opinione, la prudenza e la capacità di discernimento; è importante riconoscere il valore fondamentale dell’esempio dei genitori e insegnanti per condurre i bambini e i giovani sulla via della bellezza[6], del vero e del giusto.
Le TIC’s hanno introdotto cambiamenti radicali nel modo di imparare. Il divario crescente tra modalità di insegnamento e di apprendimento è profondo e continua ad aumentare. “La scuola sembra essere uno dei luoghi più adatti per socializzare alla rete, riflettere sulle sue caratteristiche e sulle modalità di utilizzo, tenendo in considerazione aspetti di tipo tecnico, affettivo/relazionale e civico”.
I docenti possono trasmettere agli studenti i percorsi, l’autonomia e l’indipendenza di formulazione dei giudizi sul mondo, la capacità di scegliere, selezionare e mettere in relazione le cose. Per Roberto Giannatelli, Presidente del MED (Media Education), “l’educazione ai media è compito di tutta la società. L’industria dei media deve sentirsi responsabile: la media education è anche compito politico, riguarda il bene comune della nostra società. Media, educazione, democrazia o si coniugano insieme o crollano insieme. La media education è un compito urgente e pieno di senso del nostro tempo.”[7]
III.“Comunicare i valori oggi”: dall’agorà al cyberspazio, cercare la Verità per condividerla
Ci sono saggisti che negano l’esistenza di valori indiscutibili e immutabili, validi per sempre. Vattimo, filosofo del pensiero debole e del relativismo, accenna che l’addio alla verità è l’inizio e la base stessa della democrazia. Esistono solo punti di vista interpretativi, che possono essere condivisi e trascritti in leggi, ma sempre in leggi rivedibili. In contrasto, il Prof. Massimo Cacciari riconosce valori irrinunciabili, assoluti, non scambiabili, principi non negoziabili, per i quali è lecito entrare nel conflitto democratico. “La politica è pensare che i tuoi principi su cui vorresti organizzare la società debbano valere, e di conseguenza lotti per affermarli” senza nessuna sopraffazione egemonica di una scala di valori sull’altra. Dei e Re si sono ritirati dalle scene, ormai compete alla società civile organizzarsi.
Punto di riferimento: la verità in conflitto tra saperi e tradizione
Incontrando i Cultori del Pensiero, della Scienza e dell’Arte al centro culturale di Bélem, Portogallo, Papa Benedetto XVI, metteva in risalto la «tensione» culturale contemporanea che a volte prende forma di «conflitto», fra il presente e la tradizione. “Cari amici, c’è tutto uno sforzo di apprendimento da fare circa la forma in cui la Chiesa si situa nel mondo, aiutando la società a capire che l’annuncio della verità è un servizio che Essa offre alla società, aprendo nuovi orizzonti di futuro, di grandezza e dignità. In effetti, la Chiesa ha «una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. […] La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di un sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l’annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa sia palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile» (Enc. Caritas in veritate, 9). (…) Per noi, cristiani, la Verità è divina; è il «Logos» eterno, che ha acquisito espressione umana in Gesù Cristo, il qual ha potuto affermare con oggettività: «Io sono la verità» (Gv 14,6). La convivenza della Chiesa, nella sua ferma adesione al carattere perenne della verità, con il rispetto per altre «verità», o con la verità degli altri, è un apprendistato che la Chiesa stessa sta facendo. In questo rispetto dialogante si possono aprire nuove porte alla trasmissione della verità.”[8]
Dal 1967, la Chiesa cattolica celebra ogni anno la “Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali”. Con quest’iniziativa, proposta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa, che “si sente intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”[9] richiama l’attenzione dei suoi membri e di tutte le persone di buona volontà sul vasto e complesso fenomeno della comunicazione sociale, una delle note più caratteristiche della civiltà odierna.
I temi più recenti ne esprimono la consapevolezza:[10]
2012 Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione.
2011 Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale.
2010 Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola
2009 Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia.
2007 I bambini e i mezzi di comunicazione: una sfida per l’educazione.
2006 I media: rete di comunicazione, comunione e cooperazione.
2005 I mezzi della comunicazione sociale: al servizio della comprensione tra i popoli – un bisogno urgente: promuovere l’unità della famiglia umana
Comunicare al servizio del bene comune: identità, verità e responsabilità
Il ruolo della comunicazione è stato fondamentale per l’informazione, la formazione e la socializzazione, come anche per lo sviluppo della democrazia e del dialogo tra i popoli. Il progresso tecnologico è “un potenziale enorme per servire il bene comune” e “costituisce un patrimonio da salvaguardare e promuovere” (Il Rapido Sviluppo, 10), favorisce la libera circolazione del pensiero sugli ideali di solidarietà e giustizia sociale, ma anche una veloce mobilitazione di aiuti in risposta ai disastri naturali. È stato consolante vedere quanto velocemente la comunità internazionale ha risposto allo tsunami in Thailandia nel dicembre 2004; infatti, i media possono contribuire costruttivamente alla diffusione di tutto quanto è buono e vero e garantire la realizzazione di una società civile degna della persona umana.
“Il primo Areopago dell’era moderna… per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali” (Redemptoris missio, 37). Un’attenta conoscenza promuove la comprensione, dissipa il pregiudizio e incoraggia a imparare di più. Le immagini, in particolare, hanno il potere di trasmettere impressioni durevoli e di sviluppare determinati comportamenti; insegnano alla gente come considerare i membri di altri gruppi e nazioni, influenzando sottilmente se considerarli amici o nemici, alleati o potenziali avversari.
Quando gli altri sono rappresentati in modo ostile, si spargono semi per un conflitto che può sfociare nella violenza, nella guerra, addirittura nel genocidio. Invece di costruire l’unità e la comprensione, i media possono demonizzare altri gruppi sociali, etnici e religiosi, fomentando la paura e l’odio. I responsabili dello stile e dei contenuti di quanto viene comunicato hanno il serio dovere di assicurare che questo non avvenga. Anzi, i media hanno un potenziale enorme per promuovere la pace e costruire ponti di dialogo tra i popoli. Sono, infatti, “rete di comunicazione, comunione e cooperazione, aiutando uomini, donne e bambini a diventare più consapevoli della dignità della persona umana, più responsabili e aperti agli altri, soprattutto ai membri della società più bisognosi e più deboli” (cf. Redemptor Hominis, 15; Etica nelle Comunicazioni Sociali, 4). In quanto servizio pubblico, la comunicazione sociale esige uno spirito di cooperazione e corresponsabilità, con una scrupolosa attenzione all’uso delle risorse pubbliche e all’adempimento delle cariche pubbliche (cf. Etica nelle Comunicazioni Sociali, 20), per costruire una civiltà dell’amore, aspirazione di tutti i popoli.
La questione antropologica: centralità e dignità inviolabile dell’uomo
La comunicazione è parte costitutiva delle relazioni interpersonali e dei processi sociali, economici, politici e religiosi. Nella vita delle persone e della società, è il pilastro per “Cercare la verità per condividerla”. È sempre presente il rischio di sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento, con una comunicazione usata per fini ideologici o prodotti di consumo. “Con il pretesto di rappresentare la realtà, di fatto si tende a legittimare e ad imporre modelli distorti di vita personale, familiare o sociale. Inoltre, per favorire gli ascolti, la cosiddetta audience, a volte non si esita a ricorrere alla trasgressione, alla volgarità e alla violenza. Vi è infine la possibilità che, attraverso i media, vengano proposti e sostenuti modelli di sviluppo che aumentano anziché ridurre il divario tecnologico tra i paesi ricchi e quelli poveri.” (Papa Benedetto XVI, 42° Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2008).
“Occorre non lasciarsi ingannare da quanti cercano semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.” (Papa Benedetto XVI, 43° Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2009).
Proprio perché si tratta di realtà che incidono profondamente su tutte le dimensioni della vita umana (morale, intellettuale, religiosa, relazionale, affettiva, culturale), mettendo in gioco il bene della persona, occorre ribadire che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente praticabile. “L’impatto degli strumenti della comunicazione sulla vita dell’uomo contemporaneo pone pertanto questioni non eludibili, che attendono scelte e risposte non più rinviabili.” (Papa Benedetto XVI, 42° Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2008).
Il rischio è di incidere negativamente sulla coscienza dell’uomo, sulle sue scelte, condizionando la libertà e la vita stessa delle persone; ecco perché è indispensabile che le comunicazioni sociali difendano la persona e ne rispettino la dignità. Molti pensano che oggi in questo ambito sia necessaria un’“info-etica”, come esiste una bio-etica nel campo della medicina e della ricerca scientifica legata alla vita.
Del resto, la responsabilità dell’essere umano è triplice: verso se stesso, verso il prossimo e verso il creato, riassumibile in termini etici nel rispetto dei fondamentali valori umani e in termini cristiani verso il creatore. “L’uomo è in grado di distruggere il mondo. Può manipolare se stesso. Può, per così dire, creare esseri umani ed escludere altri esseri umani dall’essere uomini. Come riconosciamo che cosa è giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente?”[11] Occorre ridare valore alla comunicazione e questo significa anche ripartire dalle identità, partire dalla storia, per cercare di dimostrare che non c’è antropologia politica possibile senza una riflessione sulla comunicazione. E la comunicazione è democrazia.
CONCLUSIONE
“Comunicare i valori oggi”, tra identità, verità e responsabilità, ribadire il senso comune?
Tecnica, informazione e comunicazione sono la base di una nuova utopia per il villaggio globale.
L’autorità mantiene un ruolo centrale nel Web.1, ma nelle applicazioni del Web.2 la condivisione rappresenta un valore essenziale. L’intelligenza collettiva e le esperienze degli utenti influiscono sulla nozione di “autorità nei sistemi educativi”. La preferenza tra diversi tipi di apparecchi per svolgere attività di apprendimento (PDA, iPod, computer…) appare come una questione puramente tecnica ed accessoria, che implica però la possibilità di imparare in qualsiasi momento: in viaggio, camminando, ecc. Grazie al Web 2.0, la distinzione tra i momenti di studio e gli altri sembra scomparire, anzi lo sviluppo dell’apprendimento a distanza, principalmente nell’educazione non formale, mette termine alla distinzione tra l’apprendimento e la vita.
In principio era la relazione e l’identità era considerata un dono dell’alterità. La scommessa della comunicazione è dunque l’altro, come irriducibile, e la trascendenza. Si parla ancora dell’info-etica, di dieta mediatica, di una vera ecologia umana e di una bio-civilizzazione per una cura autentica del disagio mentale e psico-sociale creata dalla valanga dell’informazione indiscriminata.
Con la personalizzazione dei media digitali, il rischio è grande: che Prometeo sia battuto da Dioniso e da Narciso in una civiltà dell’apparire, dove l’algoritmo sostituisce il giornalismo e l’aggregatore rimpiazza l’home page. Tra identità, cultura e comunicazione, nell’universo dominato dallo scambio globale della mondializzazione tecnica, economica e universalista, Dominique Wolton[12] profetizza il ritorno dell’autorità, la rivalutazione della professione del giornalista, del commentatore, dell’esperto.
Per Paolo Cianconi[13] l’identità umana post-moderna sviluppata dalla cultura migrante si costruisce attraverso flussi e relazioni complesse, sempre in divenire e con esiti imprevedibili; per nulla racchiudibili all’interno di percorsi di sviluppo predeterminati ed “ottimali”, se non quando vengono descritti a-posteriori. “Per orientarsi nel caos post-moderno”, bisognerebbe ridefinire cosa significa essere umani nel nostro mondo naturale e mantenerlo, assumendo tale definizione come unità di misura e difendendola. Occorre ritrovare il senso dell’uomo e “educarsi alla cura dell’altro, e a una relazione tra le persone che contrasti l’individualismo selvaggio”, imparare a camminare accanto all’uomo per essere attento e ascoltare ciò che egli porta nel proprio cuore.
L’uomo di oggi si dibatte tra “la solitudine del cittadino globale” (Z. Bauman) e la voglia di appartenenza. Alcuni descrivano la nostra un’epoca insofferente verso la sofferenza, incapace di darle un senso, che cerca rimedio nella tecnica e nei prodotti di consumo che consentono l’occultamento del dolore. Basta pensare alla crescita del malessere in tutte le sue forme. La sofferenza è un disagio dell’Essere, non dell’Avere, e sofferenza e solitudine potranno ridursi se l’uomo saprà riscoprire il valore dell’“Essere con gli altri” e dell’“Essere per gli altri”; potrà così costruire l’Utopia del Villaggio globale, con i valori personali e sociali e l’ambiente simbolico spalancato alla trascendenza e alla bellezza.
Auguriamo, dunque che la rete sia una “grande tavola rotonda” per instaurare un dialogo finalizzato al bene comune dell’umanità, nel quale entrano in gioco la formazione, la partecipazione e il dialogo (cf. Il Rapido Sviluppo, 11). Auspichiamo anche che i diversi protagonisti “sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli”[14].
[1] Etimologicamente Cultura, termine di origine latina, significava coltivare la terra; l’uso fu esteso poi a tutte le attività e situazioni che richiedevano un’assidua cura e possiamo distinguerne tre:
cura verso la terra, nel senso ecologico,
cura verso gli dei, nel senso del culto e della religione,
cura verso gli esseri umani, nel senso dell’educazione e di un complesso di conoscenze (tradizioni e saperi) considerati fondamentali e degni di essere trasmessi alle generazione successive.
[2] Bill Gates, il guru mondiale dei media aveva limitato ai suoi figli (di 10 e 8 anni) l’accesso a internet a 45 minuti al giorno: una dieta mediatica. La dieta, cioè il governo dei media, è il primo passo nel rapporto educativo tra bambini e media. Elisabeth Thoman, Direttrice del Center for Media Literacy di Los Angeles, aveva proposto la dieta mediatica integrata nel processo educativo.
[3] http://images.savethechildren.it/f/download/educaz-scuola/rivista-docenti/di/diritti_in_classe_aprile_2012.pdf
[4] Giovanni Paolo II, Discorso agli operatori dei mass media, Los Angeles, 15 settembre 1987, n. 8
[5] Benedetto XVI, I bambini e i media: una sfida per l’educazione, 24 gennaio 2007
[6] “E’ vero, principe, che voi diceste un giorno che il mondo lo salverà la bellezza? Signori – gridò forte a tutti – il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza… Quale bellezza salverà il mondo?” (F.Dostoevskij, L’idiota, Mondadori, Milano 1998, p.645).
[7] GIANATELLI Roberto, Bambini e media: un papa per la media education
[8] Benedetto XVI,Discorso al Mondo della Cultura, Belém, 12 maggio 2010
[9] Gaudium et Spes, proemio
[11] Benedetto XVI, Discorso davanti al Parlamento Federale, Reichstag di Berlin, 22 settembre 2011
[12] «Per il cittadino del XXI secolo, informarsi significherà essere capace di vagliare l’enorme massa di informazioni che riceverà da ogni parte: giornali, radio, televisione, multimedia, ecc. Non dovrà fare affidamento sulle tecniche, ma sugli intermediari. Il XXI secolo rischia quindi di rivalutare la professione del giornalista, del commentatore, dell’esperto, di chi insomma sia in grado di vagliare questo flusso continuo di dati […] che riceve sia a casa sia al lavoro. Informarsi significherà contemporaneamente saper aprirsi al mondo, ma al tempo stesso confermare la propria identità nazionale. Se il cittadino del XXI secolo non riuscirà a trovare intermediari che interpretino le sue informazioni e le ricollochino entro il suo contesto nazionale, temo che un giorno potrà dire: “Basta, sono stufo, non ce la faccio più, mi fermo”. In prospettiva emerge a mio parere una contraddizione fra informazione in tempo reale e informazione tout court. L’informazione in tempo reale è certamente un ideale perseguito da due secoli: sapere più cose possibili il più rapidamente possibile, senza intermediari e in diretta, il che è ormai tecnicamente possibile. A questo punto ci si accorge non soltanto che si rischia di restare schiacciati da un eccesso di informazioni, ma soprattutto che l’informazione in diretta genera un’enorme quantità di errori, poiché per definizione non consente a nessuno di prendere la giusta distanza. Occorre resistere alle news, resistere alla diretta, fare appello a competenze contraddittorie fra loro, confrontare le informazioni. In breve: reintrodurre la profondità dopo aver fatto tanto per sopprimerla. Sono convinto che dopo la frenesia del web la gente si accorgerà a poco a poco […] che non ha le competenze necessarie per circolare nella rete, che non ne ha voglia e che comunque per farlo servirebbe troppo tempo. Alla fine tornerà a rivolgersi a intermediari di sua fiducia, tramite i media tradizionali, o anche trovandoli sul web stesso. Il senso delle cose non può venire da una valanga di informazioni: va costruito». http://web.tiscalinet.it/urban2/violan18.htm
[13] Paolo Cianconi è un medico psichiatra, psicoterapeuta ed antropologo. Lavora da dieci anni nelle Case Circondariali italiane, e conduce numerose ricerche all’estero in contesti a forte dissoluzione ed esclusione sociale.
[14] Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno Parabole mediatiche, 9 novembre 2002
Antonino Pileri Bruno says:
“Comunicare significa creare negli altri un’esperienza, coinvolgersi fin nelle viscere, e questo è un’abilità emotiva” Daniel Goleman.
Bella espressione, ma che ci chiama ad una grande responsabilità!