1397723_10151986621822508_292430217_o (1)Trascrizione (non rivista dall’autore) del discorso del Cardinale Óscar Andrés Rodríguez alla presentazione del volume

PAPA FRANCESCO, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro (Milano, Rizzoli, 2013)

che si è tenuta il 4 dicembre 2013 presso la Sala Pio X in Vaticano.

 

Sono grato per avere l’occasione di presentare questo libro. È un privilegio. Già dal suo titolo possiamo considerare l’atteggiamento fondamentale di Papa Francesco: Giovanni Paolo II aveva detto «non abbiate paura», Benedetto XVI ha ripetuto: «aprite le porte a Cristo». Papa Francesco ci dice: «Le mie porte sono sempre aperte». Abbiamo chiaramente percepito l’apertura di queste porte sin dall’inizio del suo Pontificato. In questo libro troviamo un ritratto di Papa Francesco che lo Spirito Santo ha regalato alla Chiesa.

Una porta aperta «è sempre stata il simbolo di luce, amicizia, gioia, libertà, fiducia. Non c’è dubbio che il tema delle «porte aperte» è centrale nella predicazione di Papa Francesco.

Il libro di Padre Spadaro è basato sull’intervista che lui ha fatto durante l’estate al Papa. Lui stesso l’ha qualificata come “una grande esperienza spirituale”. E dopo la pubblicazione dell’intervista Padre Spadaro ha ricevuto molti messaggi di gente sofferente che percepiva speranza.

Soltanto vedere l’indice apre già l’appetito: Chi è Jorge Mario Bergoglio? Perché si è fatto gesuita? Che cosa significa per un gesuita essere Papa? Compagno di Gesù. La Chiesa un ospedale da campo…  Una spiritualità per il nostro tempo… Dobbiamo essere creativi… Il fondamento è la preghiera. Un indimenticabile succo di albicocca…

Parlare a tu per tu con Papa Francesco è un’esperienza spirituale. Una miniera inesauribile. Il Papa è vulcanico, ama entrare nel dialogo, aprire porte e finestre, tornare sui suoi passi. Papa Francesco in realtà è una sorta di flusso vulcanico di idee che si annodano tra loro.

La spiritualità di Bergoglio non è fatta di «energie armonizzate», come le chiamerebbe lui, ma di volti umani: Cristo, san Francesco, san Giuseppe, Maria. Una disponibilità vicina, a quella cercanía, che gli sta tanto a cuore. Quando sei con Bergoglio hai l’impressione che conosca Dio Padre personalmente. È un uomo risolto che sta bene nella propria pelle. Un uomo libero, di una libertà spirituale che però è pienamente coinvolta nella vita, nelle sue dinamiche, negli affetti.

Ha un pensiero aperto al conflitto, alle posizioni divergenti e non necessariamente conciliate. «Il rischio peggiore, la malattia peggiore, è omogeneizzare il pensiero, l’autismo dell’intelletto, del sentimento, che mi porta a concepire le cose dentro la mia bolla. Per questo è importante recuperare l’alterità e il dialogo».

Il Papa ama l’immagine del poliedro. Ne ha parlato anche di al Festival della Dottrina Sociale della Chiesa a Verona: il poliedro «è l’unione di tutte le parzialità, che nell’unità mantiene l’originalità delle singole parzialità».

«Le mie porte sono sempre aperte», dunque, ci dice il Papa. Ma che cosa troviamo entrando in questa casa Prima di tutto gli aspetti del suo essere gesuita. Lo leggiamo nelle sue parole: «Della Compagnia mi hanno colpito tre cose: la missionarietà, la comunità e la disciplina».

Papa Francesco definisce suo compito specifico quello di essere «custode» come San Giuseppe, che è stato riportato al Canone della Messa. Non custode come un polizotto, ma custode come un Padre.

Alcuni si chiedono: perché abita a Santa Marta?

Nelle sue stesse parole: «Io non mi vedevo prete solo: ho bisogno di comunità. E lo si capisce dal fatto che sono qui a Santa Marta: quando sono stato eletto, abitavo per sorteggio nella stanza 207. Questa dove siamo adesso era una camera per gli ospiti. Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché quando ho preso possesso dell’appartamento pontificio, dentro di me ho sentito distintamente un ‘no’. L’appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l’ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri».

Un pilastro della spiritualità del Papa è dunque il discernimento. Il discernimento è una delle cose che più ha lavorato interiormente sant’Ignazio. Per lui è uno strumento di lotta per conoscere meglio il Signore e seguirlo più da vicino. Dice il Papa: «Mi ha sempre colpito una massima con la quale viene descritta la visione di Ignazio: ‘Non coerceri maximo, contineri tamen a minimo, divinum est’. Ho molto riflettuto su questa frase in ordine al governo, a essere superiore: non essere ristretti dallo spazio più grande, ma essere in grado di stare nello spazio più ristretto. Questa virtù del grande e del piccolo è la magnanimità, che dalla posizione in cui siamo ci fa guardare sempre l’orizzonte. È fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri. È valorizzare le cose piccole all’interno di grandi orizzonti, quelli del Regno di Dio».

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Questa massima offre i parametri per assumere una posizione corretta per il discernimento, per sentire le cose di Dio a partire dal suo ‘punto di vista’. Per sant’Ignazio i grandi princìpi devono essere incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone. A suo modo Giovanni XXIII si mise in questa posizione di governo quando ripeté la massima ‘Omnia videre, multa dissimulare, pauca corrigere’, perché, pur vedendo omnia, la dimensione massima, riteneva di agire su pauca, su una dimensione minima. Si possono avere grandi progetti e realizzarli agendo su poche minime cose. O si possono usare mezzi deboli che risultano più efficaci di quelli forti, come dice anche San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. Scrive: «Questo discernimento richiede tempo. Molti, ad esempio, pensano che i cambiamenti e le riforme possano avvenire in breve tempo. Io credo che ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace. E questo è il tempo del discernimento. E a volte il discernimento invece sprona a fare subito quel che invece inizialmente si pensa di fare dopo. È ciò che è accaduto anche a me in questi mesi. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente i poveri. Le mie scelte, anche quelle legate alla normalità della vita, come l’usare una macchina modesta, sono legate a un discernimento spirituale che risponde a una esigenza che nasce dalle cose, dalla gente, dalla lettura dei segni dei tempi. Il discernimento nel Signore mi guida nel mio modo di governare. Ecco, invece diffido delle decisioni prese in maniera improvvisa. Diffido sempre della prima decisione, cioè della prima cosa che mi viene in mente di fare se devo prendere una decisione. In genere è la cosa sbagliata. Devo attendere, valutare interiormente, prendendo il tempo necessario. La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita e fa trovare i mezzi più opportuni, che non sempre si identificano con ciò che sembra grande o forte».

Cosa vuol dire per il Papa vivere in periferia ?

Ci sono due punti fondamentali di riferimento del suo equilibrio per vivere in periferia. Il dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce…

Il Santo Padre ricorda uno dei primi superiori della Compagnia di Gesú: Pietro Favre semplicemente il “prete riformato”. Papa Francesco si ispira proprio a questo genere di riforma.

Lui è una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto. E ancora aggiunge padre Spadaro: «Il gesuita pensa sempre, in continuazione, guardando l’orizzonte verso il quale deve andare, avendo Cristo al centro». In questo contesto capisce la riforma della Chiesa, che non è un progetto ma un esercizio dello Spirito.

L’esperienza di Favre va meglio compresa e studiata per capire lo stile del governo di Jorge Mario Bergoglio. Guarire ferite e riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Avvicinarsi a cristiani che vivono in situazioni non regolari per la Chiesa.

Cosa significa sentire cum ecclesia? Come conciliare in armonia primato petrino e sinodalità?

Con una Chiesa in discernimento che vive con gli occhi aperti nella costante attenzione a Dio, capace di leggere con realismo gli avvenimenti, di essere attenta a ciò che la circonda.

Quando la Chiesa, occupata in mille cose, trascura la vicinanza, se ne dimentica e comunica solo con documenti, è come una mamma che comunica con suo figlio per lettera.

«Che bello essere accolti con amore, con generosità, con gioia!». È questa la gioia evangelica di cui ci ha parlato nella recente Esortazione Apostolica.

La Chiesa e come «un ospedale da campo dopo una battaglia», tutta l’attività della Chiesa è da porre in chiave missionaria.

La Chiesa che ha in mente Bergoglio è innanzitutto «Madre e Pastora» che genera e accompagna, facendosi carico delle persone, a partire dalla loro concreta condizione esistenziale.

E l’annuncio del Vangelo richiede anche un’apertura delle porte. il cuore della sua missione è la vicinanza. La Chiesa di Papa Francesco ha le porte sempre aperte: aperte a far entrare la gente e aperte a far uscire il Vangelo nel mondo, senza rinserrarlo dentro fortificazioni interne.

Quattro princìpi generano la sua visione: il tempo è superiore allo spazio, l’unità è superiore al conflitto, la realtà è superiore all’idea, il tutto è superiore alla parte.

Il passato è sempre migliore del presente. Urge pensare il nuovo, apportare il nuovo, creare il nuovo, impastando la vita con il nuovo lievito della giustizia e della santità. E necessario lasciarci trovare dal Signore.

Un aspetto poco conosciuto sono i riferimenti artistici e letterari di Papa Francesco. Lo troviamo già ventottenne professore di Letteratura.

Lui si trova di fronte a una sfida antropologica: la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Nel pensare l’uomo, dunque, la Chiesa dovrebbe tendere alla genialità, non alla decadenza.

Bergoglio non è solamente una persona colta, ma una persona che vive l’arte e l’espressione creativa come una dimensione che fa parte integrante della sua spiritualità e della sua pastorale. Genialità che il Papa contrappone alla decadenza di un pensiero sterile.

In riferimento alla musica: un artista si gusta se «sentito», non se è «pensato». Dialogo, discernimento, frontiera sono «chiave» in ogni lavoro culturale realizzato da cristiani.

Finalmente l’autore ci parla della Preghiera del Papa, che può definire come una persona immersa in Dio, capace di una pace profonda.

L’opera finisce in appendice col Discorso alla comunità degli scrittori de La Civiltà Cattolica.

Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, S.D.B. Arzobispo de Tegucigalpa.

Honduras 
3 dicembre 2013.

Jesuit Father Spadaro looks on as Honduran Cardinal Rodriguez Maradiaga speaks during presentation of book about Pope Francis at Vatican

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