È in corso a Roma la 36° Congregazione Generale dei Gesuiti. Questa assemblea è al vertice della struttura organizzativa della Compagnia di Gesù, ed è composta da tutti i Provinciali e da delegati di ogni provincia religiosa. La Congregazione ha eletto il nuovo padre Generale, p. Arturo Sosa. L’altro grande compito della Congregazione è quello di riflettere sulla vita e la missione della Compagnia alla luce dei «segni dei tempi». La storia della Compagnia non è una storia di idee astratte, ma di persone immerse, per la loro missione, nel mondo. Dunque la Compagnia deve leggere con discernimento la realtà e comprendere come Dio si muove in essa e che cosa chiede oggi per il «progresso delle anime». La 36° Congregazione Generale è anche la prima a svolgersi sotto un Pontefice membro dello stesso Ordine, che vive uno speciale vincolo di obbedienza al «successore di Pietro e vicario di Cristo in terra», come Ignazio era solito chiamarlo.
Ma chi sono i gesuiti? Ogni esperienza storica che coinvolge gli esseri umani è difficile da definire perché ricca di vita vissuta. Difficile, dunque, dire in termini astratti che cosa sia una «compagnia» di uomini che da quasi 500 anni si muove nel mondo con una spiritualità comune, ma di culture, lingue, origini molto differenti tra loro. Si tratta di un gruppo di uomini, innanzitutto: uomini che si sono sentiti chiamati a vivere una avventura comune perché hanno avuto una esperienza spirituale profonda. Questa esperienza li ha mossi a occuparsi di due cose fondamentali: la «propagazione della fede» e il «progresso delle anime nella vita e nella dottrina cristiana», come recita la «formula dell’Istituto» approvata per la prima volta da Paolo IV nel 1540.
Nel portare avanti la sua missione, la Compagnia non ha espresso una militanza negativa come se dovesse combattere un nemico oppure opporsi a un mondo avvertito come irrimediabilmente segnato dal male. Non hanno mai prevalso nella Compagnia il sospetto e la sfiducia. Al contrario, sin dall’inizio, lì dove i gesuiti si sono trovati — tanto in Europa quanto nelle missioni — hanno avuto un rapporto fecondo con le culture, anche apprendendo le lingue o valorizzando l’umanesimo, specialmente con la loro pedagogia. Il motto che li ha guidati è quello di Ignazio: «cercare e trovare Dio in tutte le cose».
La loro «militanza» proverbiale, allora? Essa è stata ben colta ed espressa da Paolo VI, ripreso poi sia da Benedetto XVI sia da Francesco: «Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i Gesuiti».
Nelle viscere della spiritualità della Compagnia c’è invece l’intuizione di un oltre, di un «di più», di un magis, come si dice in latino. Si cresce nella lode della gloria di Dio, nel bene, nell’azione positiva, nel volere un mondo più giusto, migliore… Per questo si esprime la militanza «sotto il vessillo della Croce». La Compagnia ha, sin dall’inizio, il germe di una «uscita», di un cammino in avanti.
Per questo Papa Francesco, nell’intervista che gli feci per La Civiltà Cattolica nell’agosto del 2013 mi disse che «la Compagnia è un’istituzione in tensione, sempre radicalmente in tensione. Il gesuita è un decentrato. La Compagnia è in se stessa decentrata». E prosegui: «La Compagnia deve avere sempre davanti a sé il Deus semper maior, la ricerca della gloria di Dio sempre maggiore» e «questa tensione ci porta continuamente fuori da noi stessi». Il gesuita, dunque «deve essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto»: «il gesuita pensa sempre, in continuazione, guardando l’orizzonte verso il quale deve andare, avendo Cristo al centro. Questa è la sua vera forza. E questo spinge la Compagnia ad essere in ricerca, creativa, generosa».
La storia dei gesuiti è costituita da questa tensione, e tuttavia è una storia di tentativi e anche di errori. Nella sua storia c’è molto eroismo e molta creatività, ma c’è anche miseria e infedeltà al Vangelo, come in ogni gruppo di esseri umani. Ma proprio in questa storia complessa sono fiorite tante persone. Tra di esse almeno 50 «santi» e circa 150 «beati».