Riporto di seguito il testo di un articolo di Chiara Giaccardi, ordinario di Sociologia e Antropologia dei media presso la Università Cattolica del S. Cuore di Milano, dedicato al mio volume Cyberteologia. Pensare il Cristianesimo al tempo della rete (Milano, Vita e Pensiero, 2012).
L’articolo è apparso sulla rivista Aggiornamenti Sociali, 63 (2012) 549-551.
Il titolo del libro di Antonio Spadaro è insieme estrememente sfidante e potenzialmente fuorviante.
Sfidante perché unisce in una sola parola qualcosa di potentemente nuovo (il mondo digitale) con qualcosa di antico e radicato nella tradizione (la teologia), identificando una direzione entusiasmante per affrontare il presente e il futuro.
Ma Cyberteologia è anche un titolo che potrebbe condurre fuori strada, e far pensare a qualche branca iperspecializzata della teologia, un territorio di nicchia per pochi tecnofili con il pallino della religione, o religiosi appassionati di tecnologia.
Ma, ovviamente, non è così. Al contrario: Cyberteologia è un libro per tutti, perché parla del mondo in cui tutti viviamo, e del modo in cui l’appartenenza a questo mondo, del quale i media sono parte integrante, orienta il nostro approccio alla fede, e insieme apre nuove possibilità di comprenderne la profondità inesauribile. In altri termini, riguarda il modo in cui noi, uomini e donne ormai “digitali” (nativi o immigrati ha poca importanza), accediamo alla fede, a partire da quale insieme di esperienze; e come a loro volta queste esperienze possono aiutarci a penetrare più a fondo, con una nuova “intelligenza”, l’oggetto stesso della nostra fede.
Questa premessa richiede di essere un po’ sviluppata, perché tocca alcune questioni importanti e non ancora pienamente metabolizzare dal senso comune. Innanzitutto, relativamente alla teologia e ai media.
La teologia, scriveva Guardini, “può dire cos’è in generale il ‘mondo’ secondo la fede, il pericolo che nasconde, e la lotta contro questo pericolo; ma dei contenuti concreti dell’esperienza del mondo, di per sé non conosce nulla (…). I relativi problemi, valori e criteri devono giungerle dall’esperienza del mondo” (R. Guardini, Religione rivelazione, Milano, Vita e Pensiero 2001 [1990], p. 11).
La rete è appunto il “contenuto concreto dell’esperienza del mondo” che la teologia deve esplorare oggi, con curiosità e senza pregiudizi. Un contenuto tutt’altro che settoriale. E un contenuto che ha un potenziale retroattivo di illuminazione sulla stessa teologia.
Non è settoriale perché, come precisa p. Spadaro, la cyberteologia non è semplicemente “contestuale”, nel senso di relativa a un ambito specifico, un contesto circoscritto in cui fede e tecnologia si intersecano. È piuttosto, si potrebbe dire, “antropologica” e “ambientale”.
Intanto, perché non riguarda pochi iniziati, ma tutti noi: i media digitali sono ormai estensioni incorporate, protesi sempre attive, “porte aperte che raramente vengono chiuse” (p. 9), che estendono nello spazio e nel tempo la nostra possibilità di comunicare e ricevere comunicazione, e ci tengono perennemente connessi alla rete. In un certo senso, siamo tutti cyborg: i confini tra noi e i nostri dispositivi tendono a sfumare, dal momento che non ce ne separiamo mai e li lasciamo sempre attivi. In questo senso, la Cyberteologia è la teologia dell’essere umano iperconnesso.
Ma, oltre che nostre estensioni, Continue reading